Danilo Taino per “L’Economia - Corriere della Sera”
container mercato traffico commerciale
È quando i governi dicono «No Panic» che di solito inizia il panico. L'ordine arrivato da Pechino alle aziende di Stato dell'energia di assicurarsi forniture di gas per l'inverno «a tutti i costi», cioè pagando qualsiasi cifra, non è forse ancora un segno di disperazione; certo, dice che la preoccupazione è forte.
La direttiva è stata emessa, la settimana scorsa, direttamente da Han Zheng, il vicepremier che sovrintende settore e industria dell'energia. Le imprese cinesi sul mercato con assegni in bianco sono ovviamente un guaio per il resto del mondo: i prezzi, già a livelli record, rischiano di salire ulteriormente e, nei prossimi mesi, aggiudicarsi forniture potrebbe essere difficile. È che l'intero mercato dell'energia è sotto pressione: sempre la settimana scorsa, il barile di petrolio ha toccato gli 80 dollari.
In Cina, la ripresa dell'economia dopo la caduta indotta dalla pandemia, ha provocato una carenza di carbone disponibile e dunque la domanda di gas è esplosa. Il prezzo per assicurarsi una fornitura ha toccato nei giorni scorsi, in Asia, livelli record mai raggiunti, sopra i 34 dollari per milione di Btu (British Thermal Units).
INFLAZIONE STAGFLAZIONE DEFLAZIONE
Ciò ha provocato rialzi record anche in Europa, dove le difficoltà del settore erano già presenti da mesi, dovute a un inverno lungo, a forniture limitate dalla Russia, a scarsità di vento per fare girare le pale eoliche. Di fatto, oggi i compratori asiatici e quelli europei sono in competizione diretta per assicurarsi cargo di gas naturale liquefatto (Lng).
Questi livelli dei prezzi potrebbero ridursi via via che le scorte - basse nei mesi scorsi - si ricostituiscono e via via che si intravvede un ritorno alla stabilità, o addirittura un rallentamento delle economie. Fatto sta che al momento il mercato del gas è sotto pressione. Nel mondo del petrolio, la domanda è alta, nonostante la spinta dei governi a favore delle energie rinnovabili.
Quest' estate, è cresciuta di quasi il 15% rispetto a un anno prima, secondo la International Energy Agency (Iea). E l'offerta è calata. Succede che gli investimenti nell'esplorazione di nuovi giacimenti e in nuovi pozzi si sono dimezzati negli ultimi dieci anni e sui mercati si prevede quindi che il prezzo del barile rimarrà alto, anche perché l'uso di petrolio non è destinato a ridursi nei prossimi anni.
Oggi, lunedì 4 ottobre, si riunisce l'Opec+ (i 13 Paesi dell'Opec più la Russia e altri) e ci si aspetta che i produttori aprano un po' di più i rubinetti. Il loro obiettivo è mantenere il prezzo del barile di greggio tra i 70 e 80 dollari e ci si aspetta che decidano di aumentare la produzione di 400 mila barili al giorno per evitare che i prezzi salgano ulteriormente.
L'attesa della riunione di oggi ha già allentato le tensioni sul mercato, con il barile di Brent sceso venerdì a poco più di 78 dollari e quello del West Texas Intermediate sotto i 75 dollari. La situazione nei mercati del gas e del petrolio crea preoccupazioni, naturalmente.
E se i prezzi dell'energia dovessero rimanere alti nei prossimi mesi, o aumentare, l'allarme diventerebbe serio. Fonti di energia meno abbondanti, con costi in aumento, provocherebbero un rallentamento delle economie. In parallelo, il livello generale dei prezzi sta crescendo nelle maggiori economie: non solo per gas e petrolio ma anche per un gran numero di materie prime, a livelli record da un decennio, e nel settore alimentare, dove gli aumenti hanno toccato il 30% in un anno.
Rallentamento dell'economia e inflazione in salita fanno parlare analisti e molti investitori di una vecchia e non amata conoscenza, la stagflazione diventata famosa negli Anni Settanta degli shock petroliferi.
Detto succintamente, si tratta di un circolo vizioso: l'inflazione cresce e si fatica a contenerla, le banche centrali aumentano i tassi d'interesse e l'economia rallenta. Fino a che la circolarità non si spezza, si è in presenza di crescita bassa o nulla e di prezzi in aumento. Non siamo agli Anni Settanta, quando l'inflazione era in Occidente a due cifre.
I prezzi, però stanno aumentando ovunque. Negli Stati Uniti, l'inflazione è sopra al 5% e il presidente della Fed Jerome Powell ha segnalato l'intenzione di ridurre lo stimolo monetario (acquisti per 120 miliardi di dollari al mese) prima di fine anno. Nell'Eurozona, le stime sull'inflazione di settembre pubblicate venerdì indicano il 3,3%, massimo da 13 anni.
In Germania, il Paese europeo più avverso alla crescita dei prezzi, l'inflazione ha toccato il 4,1% in settembre, ha comunicato giovedì scorso l'ufficio statistico Destatis: è il balzo più consistente dal 1993. Le aspettative di molti economisti e della Banca centrale europea sono per un aumento ulteriore per fine anno ma poi una discesa nel 2022 e nel 2023.
Non ci sono però certezze: sui prezzi dell'energia; su quelli delle materie prime; sui colli di bottiglia che mettono sottosopra le catene di fornitura globali, a cominciare dai microchip; sul mercato immobiliare cinese scosso dal caso Evergrande; sull'andamento della pandemia da Covid-19. E sulla susseguente tenuta o meno dei mercati finanziari, quello dei titoli pubblici e privati e le Borse. Anche i governi e le autorità monetarie, per quanto vigili, sono nella nebbia. Attenzione, comunque, a quando passeranno all'inquietante «No Panic».
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