Estratto dell’articolo di Giovanni Pons per “la Repubblica”
La ex Ilva di Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa, rischia seriamente di chiudere i battenti se gli azionisti pubblico e privato (Invitalia e Arcelor-Mittal) non interverranno in tempi brevi per risolvere la situazione. Il grido d’allarme è stato lanciato dal presidente di Acciaierie d’Italia Holding, Franco Bernabè, sentito ieri presso la Commissione Attività Produttive della Camera, il quale ha contestualmente messo il proprio mandato a disposizione del governo.
L’assemblea che dovrà sancire la sua uscita dal gruppo è già stata convocata per il 26 ottobre e salvo sorprese dell’ultimo momento il manager non tornerà sui suoi passi. Il tempo è ormai scaduto, come sottolinea lo stesso Bernabè: «I ritardi che si sono accumulati nell’avvio del Piano di decarbonizzazione, nella costruzione dell’impianto per il DRI, nella realizzazione del primo forno elettrico e nel revamping di AFO5 con sistema di cattura della CO2, rendono molto incerto il futuro del sito».
L’unica speranza è che gli azionisti mettano a disposizione nuove risorse per il rilancio, ma questo passo sembra ancora molto lontano. Il ministro Raffaele Fitto, infatti, che è stato investito dalla premier Giorgia Meloni del difficile compito di trovare una soluzione, dopo un duro confronto con l’altro ministro Adolfo Urso, naviga ancora in alto mare.
Indiscrezioni attendibili riferiscono che Fitto ha firmato un accordo preliminare lo scorso 11 settembre, per un piano di decarbonizzazione del costo di 4,6 miliardi, di cui 2,27 miliardi sarebbero in carico alla parte pubblica e compresi nel Repower Eu attualmente in discussione a Bruxelles. Un piano che non potrà essere approvato prima di fine anno e che comunque, come il Pnrr, ha scadenza nel 2026 mentre il processo di decarbonizzazione del sito di Taranto prevede investimenti lungo un decennio. Inoltre, secondo l’accordo, gli altri 2,6 miliardi li metterebbe l’azienda attraverso i suoi flussi di cassa mentre Mittal da ulteriori versamenti di cash.
Questa situazione di stallo rischia di precipitare a breve, scontrandosi con le necessità più urgenti. La prima è quella del pagamento del gas, visto che una delibera dell’Arera del 3 ottobre pone fine entro ottobre al servizio in default (che permette una dilazione nei pagamenti) e impone il passaggio al servizio commerciale. [...] Con il rischio imminente di una interruzione definitiva della fornitura di gas.
La situazione finanziaria dell’acciaieria è molto precaria poiché, non essendo più consolidata all’interno del gruppo Mittal, e non possedendo la proprietà degli stabilimenti, sequestrati dalla magistratura, non ha garanzie da offire alle banche per finanziare il circolante. L’aumento dei costi dell’energia ha così costretto a diminuire progressivamente la produzione che nel 2023 calerà sotto i tre milioni di tonnellate. [...]
Ma la mancanza di segnali concreti ha convinto Bernabè a fare un passo indietro anche perché i suoi poteri come presidente della holding sono quasi inesistenti, visto che tutta la gestione operativa è affidata al socio privato attraverso la nomina di presidente e ad della Acciaierie d’Italia spa.
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