Estratto dell’articolo di Silvia Stucchi per “Libero quotidiano”
Dici “IOR” e subito in chi ascolta si fanno strada una serie di luoghi comuni, dicerie di torbidi intrighi e ricchezze smisurate della “Banca del Papa”. Ma, per chi vuole saperne davvero di più, in modo storicamente fondato, c’è ora il bel saggio di Francesco Anfossi, IOR. Storie, vizi e virtù della Banca vaticana dagli inizi a Marcinkus, (Edizioni Ares, 232 pp., 16,80 euro), con prefazione di Agostino Giovagnoli.
Anfossi, caporedattore di Famiglia Cristiana, fin dal suo lavoro di tesi in Storia si occupa delle finanze vaticane, e nel volume ricostruisce la storia dell’Istituto per le Opere Religiose (questo il senso dell’acronimo IOR), a partire dalla sua fondazione.
Francesco Anfossi - IOR Storie vizi e virtu? della Banca vaticana dagli inizi a Marcinkus
Infatti, dopo i Patti Lateranensi, il neocostituito Stato vaticano aveva bisogno, e diritto, come tutti gli Stati, di disporre di un istituto per regolare i suoi affari finanziari senza ricorrere ai servizi di banche estere.
Anfossi smentisce anche un’altra parte della “leggenda nera” che ammanta lo Ior: non si tratta nemmeno di una banca munificente, dato che, in una ipotetica classifica delle prime 100 banche italiane per attivo patrimoniale, lo Ior si collocherebbe agli ultimi posti, sesta dal fondo.
La “colossale ricchezza”, con cui si riempie la bocca chi si accoda a una certa “leggenda nera” goticheggiante, spesso alimentata dalla stampa anglosassone, sta tutta in questa dimensione: parafrasando Papa Francesco, potremmo definire lo Ior una banca “povera per i poveri”.
Certo, parte dell’aura leggendaria che lo avvolge viene anche dalla sua sede, a partire dal 1938: il Torrione di Niccolò V, la fortezza rinascimentale che sorge davanti al Palazzo Apostolico, scelta perché in quella sede i furti erano pressoché impossibili.
Il libro è basato non solo sulla vastissima bibliografia esistente, ma anche su documenti inediti reperiti grazie alla desecretazione dell’Archivio di Stato di Parma, che custodisce le carte del Fondo Casaroli, oltre a conversazioni con economisti, consulenti, dipendenti e dirigenti dell’Istituto vaticano [...]
Cuore del saggio sono però, i capitoli 7-10: il settimo capitolo è dedicato a Monsignor Marcinkus attraverso documenti inediti, in ordine ai legami con Sindona e Calvi; mentre i capitoli 8-10 ripercorrono le vicende del crack dell’Amrosiano, visto dall’interno del Vaticano.
Come afferma Agostino Giovagnoli, storico di comprovata obiettività, agli occhi dell’opinione pubblica appare «sovradimensionato il carattere “criminale” di molte azioni compiute da uomini che hanno gestito le finanze della Santa Sede. Il caso del Banco Ambrosiano è eloquente: non sembra che Marcinkus partecipasse davvero alle trame criminali di Calvi, e non è impossibile che la sua fiducia sia stata tradita» (p. 16).
Ma certo, conclude Giovagnoli, questo non è affatto un titolo discolpatorio giacché «fidarsi di personaggi inaffidabili è stato un errore che chi amministra i soldi delle Chiesa non può permettersi. L’allora presidente dello Ior ha comunque esposto la Santa Sede e più in generale la Chiesa a pericoli molto grandi e ne ha danneggiato fortemente la credibilità, come sottolineò il Cardinal Martini. E dal profilo di Marcinkus emerge una forte componente di mondanità, che secondo Papa Francesco è, nella Chiesa, il più grave dei peccati»
[…] L’undicesimo capitolo, attraverso le carte del Fondo Casaroli, ricostruisce i fatti sfociati nel cosiddetto “accordo di Ginevra”, l’indennizzo di 250 milioni di dollari alle banche creditrici dell’Ambrosiano. Dopo l’accordo di Ginevra, a salvare con la sua liquidità lo Ior e le casse Vaticane fu nientemeno, pochissimi lo sanno, che Madre Teresa di Calcutta.
Le origini delle Ior sono state legate alle urgenze della carità e della evangelizzazione, specialmente durante la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra. Purtroppo, guerre ed emergenze umanitarie non sono finite: e ciò spiega, annota Giovagnoli, perché l’autonomia finanziaria della Santa Sede e una gestione che spesso non può rispondere a regole rigidamente prefissate in anticipo rappresentino una necessità, se si vuole che sia possibile operare azioni straordinarie in situazioni straordinarie e non prevedibili. [...]
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