Pietro Minto per “La Lettura – Corriere della Sera”
Potremmo dire che tutto è cominciato con Steve Jobs ma sarebbe ingiusto, o poco preciso. Prima di lui, infatti, ci furono tanti altri founder , come vengono chiamati i «fondatori» di startup, le agili aziende che hanno fatto la fortuna della Silicon Valley. La leggenda di questo angolo di California nacque ufficialmente nel 1938, quando Bill Hewlett e David Packard, che avrebbero costruito la società di computer Hp, si misero al lavoro su un oscillatore in un piccolo garage, oggi luogo di pellegrinaggio capitalista.
Non è un caso che la stessa «parabola del garage» interessi Apple, Google e Microsoft, diventando parte dell'epica di qualsiasi azienda che voglia imporsi nel mercato. A distanza di ottant' anni da quel momento, però, il modello sembra in crisi ed è proprio la figura del fondatore a mostrare segni di cedimento. Certamente c'è il contraccolpo del boom, poi sgonfiatosi, avvenuto durante l'emergenza pandemica, ma sta di fatto che finora nel 2022 il settore tecnologico statunitense ha tagliato 120 mila posti di lavoro.
Anche Meta - il gigante che comprende Facebook, Instagram, WhatsApp e altre aziende - sta soffrendo molto: nell'ultimo anno la sua capitalizzazione di mercato è crollata di 800 miliardi di dollari, l'azienda deve affrontare la concorrenza di TikTok e un forte calo di entrate pubblicitarie, ma al tempo stesso ha compiuto scelte molto radicali e discutibili.
Tra tutte, il «metaverso», l'improbabile nuova frontiera del web su cui Zuckerberg ha investito dieci miliardi di dollari in un solo anno, in una scommessa confusa e molto rischiosa. Come ha scritto il «Wall Street Journal», «non è ancora chiaro cosa potrebbe essere considerato un successo, solo che Meta non è neanche lontanamente vicino a raggiungerlo».
Secondo alcuni, sarebbe solo una crisi di mezz' età. Non tanto dei singoli fondatori quanto del settore intero, che sta uscendo da un lungo periodo di crescita e dominio globale assicurato dall'avvento del World wide web, degli smartphone e dei social media. La Silicon Valley, insomma, ha avuto il vento a favore per circa vent' anni, ma oggi si ritrova in una situazione inedita e complessa: il successo di TikTok, di proprietà della cinese ByteDance, è dimostrazione di come il mercato sia ormai a trazione globale.
La tesi della crisi di mezz' età aiuterebbe a comprendere gli eventi recenti di questo mondo: invece di capire come creare il prossimo iPhone, molte aziende si sono date obiettivi assurdi e irrealizzabili. Come il metaverso, appunto. O come la colonizzazione di Marte, storico pallino di Elon Musk, capo di Tesla e di SpaceX, le cui ambizioni sono ormai cosmiche. Auto elettriche, auto che si guidano da sole (o che dovrebbero farlo) e viaggi verso il pianeta rosso, dove entro il 2050 Musk vuole una colonia da un milione di abitanti.
O, ancora, la blockchain, l'infrastruttura alla base delle criptovalute, su cui il fondatore di Twitter Jack Dorsey ha puntato tutto, lasciando l'anno scorso il social network per dedicarsi a tempo pieno alla sua società crypto Block, evoluzione della precedente Square.
Tutte idee balzane e molto difficili da realizzare, che per anni sono state prese sul serio, anche grazie al mito del fondatore. Poi è arrivata un'ambizione più terrena e terrestre, su cui anche Musk, l'invincibile Musk, è sembrato inciampare: Twitter. In queste settimane si sta consumando una crisi aziendale di notevoli dimensioni, a causa dell'acquisto del social da parte dell'imprenditore, che ha licenziato migliaia di dipendenti e organizzato strani «sondaggi» per determinare il futuro dell'azienda. Uno spettacolo che ha confuso i fan più zelanti di Elon e ha instillato un dubbio tremendo in molti: e se questi founder non fossero poi così infallibili?
Negli ultimi anni, del resto, l'establishment della Valley (ma anche dei media e della politica) si è fatto abbindolare da due fondatori che si dicevano pronti a cambiare - anzi, a salvare - il mondo: Elizabeth Holmes e Sam Bankman-Fried.
La prima era alla guida di Theranos, startup che prometteva analisi mediche a partire da un campione minuscolo di sangue, condannata lo scorso 18 novembre a undici anni di carcere per quella che è stata definita «la truffa più grande di sempre». Un titolo che sembra già conteso da FTX, un servizio per lo scambio di criptovalute fondato da Bankman-Fried, collassato nei giorni scorsi quando è stata rivelata la pessima gestione dei fondi degli investitori che ha causato un buco miliardario.
In questi anni, entrambi questi founder erano finiti sulla copertina di «Forbes», raccontati come esseri mitici, imprenditori degni di un romanzo di Ayn Rand, pronti a cambiare per sempre l'America e tutto il mondo. Entrambi hanno invece dimostrato quanto un settore ricco e potente come questo sia poco preparato a un momento di crisi che risulta essere culturale, più che economica.
La figura del fondatore dell'area di San Francisco si trova di fronte a un bivio: da una parte l'innovazione vera e propria, fatta di investimenti a lungo termine e strategie complesse; dall'altra, le sirene della vita su Marte, dei metaversi o dei soldi facili con il crypto. Solo una di queste strade porta al progresso reale, lo stesso che ha reso questo lembo di California la culla di un nuovo rinascimento tecnologico. Che oggi, però, sembra sempre più lontano.