Danilo Taino per www.corriere.it
Non poteva che essere la Svizzera a porre una questione importante come i diritti di proprietà di fronte alla guerra in Ucraina. Nella Confederazione, è accesso il dibattito su come il Paese, neutrale e decisamente rispettoso delle proprie leggi, debba comportarsi nei confronti di Kiev e di Mosca. La scelta di campo di Berna è stata netta fin dall’inizio: non solo solidarietà ma anche sostegno concreto agli ucraini.
Ora, però, si pone un problema che per gli svizzeri è di importanza fondamentale e che dovrebbe essere considerato anche dalle altre democrazie: i fondi della banca centrale russa e i depositi degli oligarchi che stanno nelle banche elvetiche possono essere confiscati per aiutare la difesa dell’Ucraina, la sua economia e per ricostruire le sue infrastrutture distrutte?
La domanda non è affatto banale. Il diritto di proprietà è un pilastro dei diritti di libertà in una società democratica, non ci si può passare sopra facilmente. È giustificato confiscare o espropriare al cospetto di una guerra alle porte dell’Europa? Su questo la Svizzera è sotto pressione. L’Associazione bancaria elvetica calcola che nel Paese siano depositati tra i 150 e i 200 miliardi di franchi (è circa lo stesso valore in euro) appartenenti a russi.
La maggior parte di queste persone, però, non è soggetta a sanzioni da parte della Confederazione e quasi sempre nemmeno della Ue e degli Stati Uniti. Non sono dunque denari toccabili.
Finora, Berna ha bloccato asset russi sottoposti a sanzioni per 7,5 miliardi di franchi, oltre a 15 proprietà. I fondi della banca centrale di Mosca (non sanzionata da Berna) non si sa invece quanti siano nella Confederazione: certamente non ce ne sono nella Banca Nazionale Svizzera, forse una decina di miliardi stanno in banche private.
La questione è stabilire se i fondi bloccati o che lo saranno in futuro possono essere usati a favore di Kiev. Il Senato degli Stati Uniti ha, in dicembre, passato una misura in base alla quale Washington potrebbe usare i fondi russi congelati a sostegno dell’Ucraina: alcuni senatori vorrebbero che anche la Svizzera facesse qualcosa del genere. Con forza, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha chiesto di utilizzare i capitali in Svizzera per la ricostruzione del Paese attaccato da Putin.
GLI YACHT RUSSI EVASI DALLE SANZIONI
Ma altri, in Europa, sono meno convinti che ci sia lo spazio legale per farlo, a cominciare dal cancelliere tedesco Olaf Scholz. E, nella Confederazione, l’opposizione alla confisca – che è cosa diversa dal congelamento – è forte. Citato dalla Neue Zürcher Zeitung, il presidente della Commissione Esteri del Parlamento, Franz Grüter, ha sostenuto che certe proposte di confisca equivarrebbero a espropri. “Allora possiamo abolire direttamente la certezza del diritto”, ha commentato. L’aggressione all’Ucraina è un evento enorme ma un passo del genere renderebbe più facile muoverlo anche in caso di conflitti meno gravi.
Una cosa diversa – si dice a Berna – saranno gli indennizzi per i danni di guerra provocati dall’invasione russa: ma questi si decideranno solo dopo un accordo di pace. La Svizzera sta insomma ponendo una questione rilevante per tutte le democrazie: la guerra giustifica la sospensione di alcune leggi fondamentali che garantiscono la libertà?
IL FRONTE DEL NO ALLE SANZIONI ALLA RUSSIA
Accusare Berna di poca solidarietà sarebbe una forzatura. Anche perché si è allineata a praticamente tutte le sanzioni contro Mosca decise dalla Ue, ha dato asilo ai rifugiati ucraini, ha congelato i fondi di individui vicini a Putin, sostiene la ricollocazione di imprese ucraine medie e piccole fuori dalle zone più colpite dalla guerra e ha limitato il commercio di materie prime russe sul suo territorio (prima dell’invasione, più di tre quarti del petrolio di Mosca veniva scambiato a Ginevra).
Il totem della neutralità elvetica, dunque, è stato pragmaticamente messo da parte. C’è però un altro punto, legato alla neutralità, che la Svizzera deve affrontare. La Germania ha mandato a Kiev veicoli per la difesa antiaerea. Per farli funzionare, servono le munizioni: Berlino possiede più di 12 mila proiettili ma non può mandarli agli ucraini perché sono stati prodotti in Svizzera e la legge elvetica vieta la riesportazione delle armi realizzate nella Confederazione. Ciò irrita ucraini, tedeschi, europei e Nato.
In Svizzera c’è naturalmente chi domanda di cambiare la legge. Anche questa è una questione aperta. Viviamo in tempi di cambiamento, come hanno segnalato Svezia e Finlandia quando hanno deciso di aderire alla Nato. Anche per la Svizzera, neutralità è forse un concetto da ridefinire nel Ventunesimo Secolo.