Estratto dell’articolo di Leonardo Di Paco per “la Stampa”
GIUSEPPE MUSSARI - ANTONIO VIGNI
Balzo di Mps a Piazza Affari (+5,69%) dopo la decisione della Cassazione che ha ritenuto «inammissibile» il ricorso della procura generale di Milano contro le assoluzioni dei 15 imputati per presunte irregolarità sulle operazioni sui derivati di Alexandria e Santorini, Chianti Classico e Fresh, effettuate da Palazzo Salimbeni tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all'acquisizione di Antonveneta.
Confermate, dunque, le assoluzioni dell'ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari, e quella dell'ex direttore generale Antonio Vigni, come deciso in appello il 6 maggio 2022, oltre che dei manager di Deutsche Bank e Nomura: giudicato inammissibile anche il ricorso della Consob. Con la conferma dell'assoluzione cadono anche le richieste di risarcimenti. […]
LUIGI LOVAGLIO MONTE DEI PASCHI DI SIENA
La sentenza della Cassazione potrebbe ora attenuare un ostacolo rilevante - per quello che riguarda i rischi legali, in tutto pari a 4,1 miliardi - nella partita del Tesoro che sta avviando la privatizzazione attraverso la cessione del suo 64,23%.
Operazione che, stando alle intese con Bruxelles va portata a termine entro il 2024. Negli ultimi anni, la banca senese è finita spesso al centro del risiko bancario. Da subito esclusa Intesa Sanpaolo per motivi di Antitrust, il candidato più naturale era apparso Unicredit. La trattativa, però, è naufragata nel 2021.
Dopo l'ultimo aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro, completato dall'ad Luigi Lovaglio a ottobre dello scorso anno, restano due possibili combinazioni: Banco Bpm e Bper, con entrambi gli istituti che fino ad oggi hanno sempre negato qualsiasi interesse. Le criticità rispetto al successo di un'aggregazione non mancano. Bper, che in prospettiva potrebbe muovere verso la Popolare di Sondrio, non ha mai integrato Banco di Sardegna, deve ancora digerire Carige e registra qualche difficoltà con l'amalgama degli sportelli ex Ubi. Sul tavolo del Tesoro resta l'ipotesi di una dismissione a tappe della quota, con una prima vendita sul mercato che la porti al 51% ma anche al 40%, quota che consentirebbe alla politica di mantenere influenza sull'istituto bancario più antico d'Italia.
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