Estratto dell’articolo di Andrea Greco per “la Repubblica”
La strada che porta Unicredit verso Francoforte, sede dell’ambita Commerzbank, è lunga, ma è diritta. Passano le settimane – sei ormai dal blitz con cui la banca guidata da Andrea Orcel annunciò l’incetta di un 9,2% del suo capitale – ed è passato un mese dalla richiesta fatta alla vigilanza Bce che dovrà esprimersi sulla richiesta degli italiani di salire al 29,9% nell’istituto tedesco.
Secondo alcune fonti la fase preparatoria delle carte, istruite dalla Bafin tedesca per poi trasmetterle alla Bce, starebbe terminando, per avviare il contatore che dà 60 giorni (più 30 supplementari) ai supervisori per il nulla osta. […]
Ma a quanto si apprende l’autorità finanziaria prenderà tutto il tempo a sua disposizione, per un dossier che in Germania è ostacolato e ha infiammato fin troppo gli animi, anche perché l’anno prossimo ci sono le elezioni. Per questo, e complice la pausa natalizia, la decisione non sarebbe da attendere prima di gennaio 2025.
Dietro le quinte – e pure davanti, tante sono le esternazioni dei vertici Bce sull’opportunità di rilanciare le fusioni bancarie transfrontaliere in Europa – la dialettica tra Unicredit e gli ispettori sul dossier appare lineare, né si profilano sorprese negative sull’iter.
E ai piani supremi della torre di Piazza Gae Aulenti, racconta qualche consulente, si lavora pazienti al mosaico che consenta, dopo l’ok Bce e nel giro di qualche settimana, il lancio di un’Offerta pubblica di scambio. Il 23 settembre, quando Unicredit dichiarò derivati per salire fino al 21,2% di Commerzbank, rivendicò “piena flessibilità” strategica, con tre possibili esiti: «rimanere a questo livello, cedere la quota con una copertura in caso di ribassi, o incrementarla, in funzione dell’esito delle interlocuzioni con Commerzbank i suoi consigli di gestione e di sorveglianza e tutti i suoi stakeholder in Germania».
Mani libere e tre scenari quindi: ma è di crescente evidenza che il sostegno del mercato (e della vigilanza), la tenuta dei prezzi – dal 10 settembre Unicredit guadagna l’11,5%, poco meno del 29% della pedina sotto scalata - le reazioni frustrate dei politici tedeschi e la penuria di alternative portano verso la fusione.
È, anche, ciò che serve a Unicredit per estrarre tutte le sinergie sui suoi business tedeschi e realizzare l’ambizione paneuropea, dettagliata da Orcel il 25 settembre ospite di Bofa: «Crediamo che metterci insieme e creare qualcosa di più grande aggiungerebbe molto valore per i due istituti, i loro azionisti, dipendenti e clienti, la Germania e la stessa Europa, che avrebbe un caso di scuola in cui rafforza il comparto del credito e il suo supporto all’economia».
Il piano messo a punto da Orcel, che di fusioni bancarie se ne intende essendo stato per 20 anni il consulente- regista delle più grandi, sarebbe a due stadi. Il primo, ottenuto il via libera Bce, prevede l’esercizio dei derivati total return swap siglati con Bofa e Barclays, che già danno a Unicredit tutti i diritti su un altro 11,5% di Commerz, meno quelli di voto.
A quel punto il socio Unicredit potrebbe già respingere operazioni sgradite, perché anche con un’affluenza dell’80% all’assemblea Commerz (dove di solito è presente il 60% del capitale) gli italiani potrebbero bloccare le delibere straordinarie, cui serve il 75% dei sì.
Nel comporsi del quadro, e salvo stravolgimenti geopolitici (ma solo di quelli capaci di nuocere a Unicredit più che a Commerz: e non è facile, dato che la banca italiana guadagna e distribuisce molti più miliardi della rivale), l’Ops diventerebbe quasi inerziale, sia per la stazza ingombrante di Unicredit – quasi 3,5 miliardi investiti, ai prezzi di Borsa – sia per quella degli azionisti istituzionali, padroni di quasi tutti i titoli Commerz fuorché il 12% rimasto allo Stato. [...]
Intanto Orcel, che è anche presidente di Hvb, esplora il dialogo con i tedeschi e lavora con le diplomazie a qualche mitigazione: dal mantenimento del logo Commerzbank alla gestione morbida e volontaria degli esuberi (come fatto ora in Italia), alla riproposizione del “modello federale” per cui i crediti erogati dalla controllata Hvb in Germania e in Austria sono deliberati da strutture locali. […]
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