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Anno nuovo, conflitto vecchio. Come racconta Francesco Manacorda nell’articolo a seguire, nel 2023 i nodi di Mediobanca arriveranno al pettine col rinnovo del cda di Piazzetta Cuccia. La pace tra Nagel e il duplex Milleri-Caltagirone non è difficile ma impossibile.
L’erede di Del Vecchio e l’ad di Mediobanca potranno pure parlarsi ma trovare un accordo tra Milleri e Nagel appartiene al mondo delle fiabe. E’ dall’epoca della fallita acquisizione dello Ieo da parte del patron di Luxottica che Milleri disapprova (eufemismo) la gestione di Nagel.
Aggiungere che Milleri e Caltagirone non parlano la stessa lingua, sarà interessante vedere i risultati del loro prossimo incontro previsto a metà gennaio per decidere cosa fare. Per ora, sul tavolo, non c’è alcun piano.
PIANO INDUSTRIALE E NUOVI VERTICI LA PACE DIFFICILE DI MEDIOBANCA
Francesco Manacorda per Affari&Finanza- La Repubblica
FRANCESCO MILLERI LEONARDO DEL VECCHIO
La banca milanese è stanca di guerra, i suoi soci non si sa. Dopo la battaglia delle Generali il rinnovo del cda è un altro passaggio cruciale per verificare lo stato dei rapporti con Delfin e Caltagirone.
Dopo gli attriti tra l'ad di Mediobanca Alberto Nagel e i suoi grandi soci Leonardo Del Vecchio (scomparso lo scorso giugno) e Francesco Gaetano Caltagirone, e dopo la battaglia nell'assemblea delle Generali di aprile che ha visto sconfitta la lista per il cda presentata dai due stessi azionisti, c'è chi legge il 2023 come anno della possibile pace. O almeno di una tregua, che privilegi i risultati industriali a visioni strategiche finora opposte.
I prossimi dodici mesi, infatti, portano due scadenze non banali.
La prima è la presentazione del nuovo piano industriale di Mediobanca, che vedrà necessariamente interessati i due grandi azionisti dell'istituto - Delfin della famiglia Del Vecchio con poco meno del 20% e Caltagirone con il 5,6% - sebbene nessun loro rappresentante sieda in consiglio.
La seconda scadenza è per l'appunto il rinnovo del cda, in concomitanza con l'assemblea che il prossimo ottobre dovrà approvare il bilancio 2022/2023. Proprio in quell'occasione bisognerà contemperare due diverse esigenze: quella del management dell'istituto, guidato da Nagel, che punta sempre più a una Mediobanca modello "public company" e che non a caso ha già intrapreso la strada della lista di maggioranza presentata dallo stesso consiglio, auspicando per la prossima tornata la presenza di un maggior numero di consiglieri indipendenti; esigenza diversa - se non contraria - rispetto a quella dei grandi soci oggi fuori dal cda.
Comprensibile che chi abbia investito miliardi in piazzetta Cuccia e nella sua partecipata Generali (ne controlla il 12,7%, la maggior partecipazione singola) consideri dovuto anche un ruolo nella governance che si traduca appunto anche in posti in consiglio. E ipotizzabile anche che per i due grandi soci con posizioni sia in Mediobanca sia in Generali, l'ingresso nella stanza dei bottoni della prima sia un modo per entrare nella sala macchine della seconda, nonostante formalmente - e specie con il più recente consiglio - il Leone sia più slegato che mai dai suoi grandi azionisti, compresa la stessa Mediobanca.
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE PHILIPPE DONNET
Proprio alla luce di una partita sulle Generali che potrebbe ancora giocarsi in Mediobanca, gli scenari qui divergono nettamente: si va dalla possibilità di un dialogo tra il management di piazzetta Cuccia e i grandi azionisti per una lista che possa dare soddisfazione a tutti, concentrando l'attenzione sui buoni risultati che la banca ha ottenuto e promette di ottenere ancora, a ipotesi decisamente più belliciste:
ad esempio quella che Caltagirone e Delfin possano muovere in modo più deciso sul capitale di Mediobanca, addirittura lanciando un'Opa o facendola lanciare a un altro soggetto bancario per poi conferire le proprie azioni.
ROCCO BASILICO E LEONARDO MARIA DEL VECCHIO
Fantafinanza, allo stato, che per verificarsi avrebbe bisogno anche di un cambio di rotta della Bce. Ma fantafinanza che sarebbe coerente in particolare con quello che è l'obiettivo di Caltagirone, ossia svincolare le Generali - dove oggi l'imprenditore romano e la Delfin sono impaludati con quattro consiglieri eletti con la lista di minoranza - da Mediobanca.
Puro revanchismo di fronte al verdetto del mercato che in aprile ha visto i fondi di investimento scegliere la strada della continuità in Generali e non "comprare" il progetto alternativo? Può darsi, ma in questo caso sarebbe un desiderio di rivalsa non fine a sé stesso, ma dotato di cospicue quote azionarie e quindi da non sottovalutare.
Al momento, il dato che si può registrare è che sul fronte Delfin i toni si sono abbassati rispetto agli ultimi mesi. La scomparsa di Leonardo Del Vecchio lascia la composita famiglia - sei figli da tre diversi matrimoni - in cerca di una sistemazione che passa prima di tutto dalla gamba industriale di Essi-Lux, la più robusta su cui poggia l'impero di famiglia.
Qualche differenza di opinioni sta già affiorando, visto che ad esempio i due figli più giovani nati dall'unione di Del Vecchio con Sabina Grossi hanno accettato l'eredità paterna con riserva , non contenti, tra l'altro, della clausola testamentaria che riserva a Milleri una quota in azioni dal valore di quasi 400 milioni di euro.
Ma al di là delle dinamiche interne, in questa fase la famiglia si concentrerà probabilmente appunto sull'industria, lasciando che gli altri due rami in cui ha diversificato la propria attività - l'immobiliare e la finanza - portino i loro risultati.
Risultati che finora non sono mancati: secondo alcune elaborazioni, il prezzo di carico di Delfin per le sue azioni Mediobanca è di circa 9 euro per titolo, ossia l'attuale quotazione. Ma finora la finanziaria dei Del Vecchio ha anche incassato circa 200 milioni di dividendi da Mediobanca, abbassando quindi di fatto il suo valore di carico a 7 euro.
Dopo un terzo trimestre 2022 con risultati record - fatturato a 760 milioni e utile a circa un terzo di quella cifra - e un finale d'anno che si annuncia in linea, il piano industriale del prossimo anno potrebbe dare ancora soddisfazione agli azionisti, puntando in particolare sul rafforzamento del wealth management e del private banking, che nella formula di Piazzetta Cuccia sono sempre più integrati con l'investment banking, e sugli sviluppi della banca digitale, concentrandosi sul "buy now, pay later", il pagamento rateale senza interessi adesso molto in voga.
Sono temi, assieme a quelli del nuovo consiglio, di cui Nagel ha probabilmente già cominciato a parlare sia con Francesco Milleri, presidente di Delfin, che ha incontrato di recente, sia con Caltagirone. Proprio quest' ultimo, però, potrebbe essere il più intransigente.
Il silenzio dell'Ingegnere romano, infatti, difficilmente può essere considerato un segno di acquiescenza. Dal cda delle Generali è uscito sdegnato appena rieletto per non trovarsi nella posizione di consigliere di minoranza dopo esserne stato vicepresidente.
E se Philippe Donnet, Ceo riconfermato a Trieste, vede davanti a sé quasi tre anni di navigazione non troppo agitata sul fronte della governance, il fortunale potrebbe scatenarsi appunto in Mediobanca proprio con l'obiettivo di portarla a cedere la sua partecipazione nelle Generali e avere poi mano più libera sulla compagnia, magari riprovando ad aggregare una compagine di imprenditori italiani. Un progetto che però già una volta si è scontrato con il voto negativo dei fondi, che alla fine a Trieste e in Mediobanca sono i primi veri grandi azionisti.
PHILIPPE DONNET GENERALI REPUBBLICA - ARTICOLO SU MEDIOBANCA