Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
L’ordine che negli ultimi giorni Matteo Renzi ha impartito a palazzo Chigi è spegnere l’incendio, al più presto. Bufera mediatica e polemiche politiche seguite al «fallimento pilotato» di Banca Marche, CariChieti, CariFerrara e PopEtruria non erano state previste dagli sherpa del premier. Né i consiglieri del presidente del consiglio avevano messo in conto il pasticcio delle obbligazioni subordinate, andate in fumo con l’operazione salvataggio.
Quei bond - stiamo parlando di circa 500 milioni di euro in mano a 12mila persone - sono stati azzerati (stesso discorso per le azioni) con la risoluzione dei quattro istituti disposta dalla Banca d’Italia nella tarda serata di domenica 22 novembre e hanno colto di sorpresa lo stesso governo che nel pomeriggio aveva approvato il decreto per anticipare, di fatto, l’entrata in vigore delle nuove regole europee sui salvataggi bancari.
Al momento i fondi sul piatto (in realtà vanno ancora versati) ammontano a 100 milioni di euro e sono a carico di tutte le altre banche. Calcolatrice alla mano mancherebbero circa 400 milioni se si optasse per risarcimenti a 360 gradi. Di qui l’idea di trovare in tutti i modi nuove risorse per aumentare gli indennizzi previsti dalla legge di stabilità.
Al Tesoro, dove stanno definendo i dettagli e i decreti attuativi della manovra, si ragiona sulle plusvalenze che dovrebbero essere realizzate dalla bad bank, la discarica dove sono confluite le sofferenze delle quattro banche salvate. I prestiti non rimborsati sono stati comprati a prezzo di saldo: una massa di 8,5 miliardi di crediti deteriorati è stata pagata appena 1,5 miliardi con uno sconto superiore all’82 per cento.
Fra gli addetti ai lavori si scommette sulla capacità dei gestori della banca cattiva di portare a casa un bottino sostanzioso. Le regole in vigore prevedono che il tesoretto della bad bank resti a disposizione dell’autorità di risoluzione, cioè Bankitalia. Ma non sarà difficile trovare un accordo. Al tavolo, per spartire la torta, potrebbe chiedere di sedere anche l’Abi: la Confindustria del credito pochi giorni fa ha messo gli occhi proprio su quelle plusvalenze, sostenendo che una fetta spetti agli istituti «sani» che hanno contribuito a evitare il crac di Marche, Chieti, Ferrara ed Etruria.
Il primo a battere i pugni su quel tavolo, tuttavia, potrebbe essere Renzi che, come accennato, ha bisogno di «liquidità» per spegnere l’incendio e mettere la parola fine a una faccenda che gli è sfuggita di mano. Il capo del governo è riuscito (per ora) a chiudere la questione che riguarda il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, e il padre, Pier Luigi Boschi, vicepresidente (nonché azionista) di Banca Etruria fino al commissariamento del febbraio scorso; ma l’ex sindaco di Firenze teme strascichi sul versante del «risparmio tradito».
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Ecco perché la questione dei risarcimenti potrebbe essere estesa anche ai titolari di azioni seppur con paletti precisi (verrebbero presi in considerazione solo i piccoli risparmiatori, anche sulla base di una valutazione relativa all’intero portafoglio finanziario e ai redditi). La macchina degli indennizzi è stata affidata all’Anticorruzione di Raffaele Cantone; vanno peraltro ancora studiate norme ad hoc per evitare sovrapposizioni e conflitti di interesse con Consob e Bankitalia, mentre sarà impossibile evitare azioni giudiziarie per l’acquisto dei bond.
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La grana è squisitamente finanziaria, ma ha risvolti politici rilevanti. Il parco buoi tosato con il giro di vite sui titoli delle quattro banche - questa la principale preoccupazione del premier - potrebbe far pagare il conto al Partito democratico in cabina elettorale.