GLI ACCADEMICI DELLA LUISS CHE AVANZANO AL GOVERNO. IL PONTE CONFINDUSTRIA-MELONI. MAPPA
Estratto dell’articolo di Carmelo Caruso per “il Foglio” – 9 agosto 2024
CESARE POZZI ALLA CONVENTION DI FRATELLI DITALIA A FOGGIA
[…] Draghi guardava alla Bocconi, Meloni alla Luiss. […] Il nuovo rettore è stato nominato il 10 luglio, ed è Paolo Boccardelli, ma c’è stato un momento, e non era una fantasia, in cui si pensava che a farlo potessero essere Giovanni Orsina, il politologo, lo storico del berlusconismo, o ancora Cesare Pozzi, economista apprezzato da Fazzolari. Pozzi è stato invitato alla convention di Milano, quella pregovernativa, e quest’anno, ad Atreju. […]
CESARE POZZI "IL GREEN DEAL NEGA IL FUTURO DELL'INDUSTRIA SALVIAMO I BIG DELL'AUTO DALLA MINACCIA CINA"
Estratto dell’articolo di Giuliano Balestreri per “La Stampa”
«L'Europa è responsabile per il 7% delle emissioni globali di anidride carbonica, l'Italia per meno dell'1%. Gli obiettivi definiti dall'Unione europea con il Green deal non cambieranno il mondo, ma rischiano di negare il futuro all'industria europea. A cominciare dall'automotive».
Cesare Pozzi, professore di Economia Industriale all'Università Luiss, guarda con sguardo obiettivo alle politiche comunitarie: «[…] I Paesi europei ragionano ognuno dovendo rispondere al proprio contesto socio-economico e la Commissione Ue porta avanti sue altre istanze. È chiaro che per […] i paesi produttori tradizionali si tratti di una transizione complessa e delicata»
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Professore, a complicare la situazione c'è il difficile momento dell'industria, in Italia come in Europa.
«È importante capire, innanzitutto, che non siamo in un momento "transitorio" […]. Tutto ciò che sta accadendo oggi era prevedibile con buona approssimazione, non c'è nulla di sorprendente.
La verità è che ci troviamo davanti a uno scollamento tra la nostra capacità di comprendere come funziona davvero il mondo in cui viviamo e le conseguenze delle nostre azioni nel lungo periodo.
Le nostre società hanno il lavoro al centro, ma questo si deve accoppiare a ingegno e soluzioni istituzionali per trasformare la natura producendo beni e servizi come mai prima, per migliorare la qualità della vita non per peggiorarla.
Qualunque scelta di sistema si faccia, che è la responsabilità della politica, non si può mai perdere di vista la sostenibilità nel tempo storico del connubio cultura e società che si è prodotto nel mondo moderno».
Più facile a dirsi che a farsi.
«Sì, ma le nostre sono società "manifatturiere" che hanno quindi la necessità di sviluppare una politica industriale orientata al lungo termine e basata sull'ideale di una crescita virtuosa.
In tal senso l'impresa è centrale perché crea lavoro e la politica dovrebbe creare le condizioni affinché le stesse imprese possano intraprendere in modo etico e sostenibile. Negli ultimi decenni, tuttavia, non abbiamo tenuto conto dell'impatto a lungo termine di una serie di decisioni politiche prese: l'esempio della transizione elettrica nell'auto è emblematica.
Cambiare il modello produttivo avrebbe richiesto di farlo in un tempo storico realistico e con un dialogo aperto con le imprese. Non dimentichiamo che l'auto è stata l'innovazione della storia industriale che più di tutte ha inciso sulla struttura delle nostre società, oltretutto con enormi spillover sul fronte della ricerca e dello sviluppo».
La competizione cinese, però, sta schiacciando l'Europa.
DAZI UE SULLE AUTO ELETTRICHE CINESI
«La Cina è passata da una produzione annua di meno di due milioni di veicoli nel 2000 a oltre 30 milioni oggi. Un dato importante che, però, minaccia in qualche modo l'Occidente: una volta installata una capacità produttiva del genere, le imprese tendono a sfruttarla a pieno, al limite mettendo pressione sui prezzi».
In che senso?
«Prima di ridurre la capacità produttiva, infatti, il sistema cinese abbassa i prezzi, una situazione che l'Europa fa fatica a contrastare con un mercato interno sempre più fragile e con una rete di ammortizzatori sociali sotto pressione da troppo tempo».
In Italia il dibattito sul ruolo e il futuro di Stellantis è sempre più acceso.
«Stellantis è un grande gruppo internazionale, ma soprattutto italiano. Rappresenta un'opportunità per Italia, Francia e Stati Uniti: è un esempio di collaborazione anche con l'altra sponda dell'Atlantico che va salvaguardato. Per questo ritengo fondamentale aprire un tavolo di discussione in Italia e in Europa per ascoltare a fondo le esigenze di questi attori. Stellantis è nata da imprese che hanno un'importanza storica e culturale, e dobbiamo fare di tutto per preservarle per garantire un futuro sostenibile e inclusivo».
Quindi quale dovrebbe essere l'obiettivo per il settore automotive europeo?
xi jinping vertice brics 2024 foto lapresse
«Occorre una nuova strategia realmente a lungo termine che consideri l'impatto sociale della transizione, a partire da chi lavora in questo settore. Fermare il motore endotermico in Europa, ad esempio, è una scelta che deve essere supportata da misure concrete per gestire milioni di posti di lavoro garantendo un futuro che è non solo il loro, ma della nostra società tutta.
Il problema come detto non è solo italiano, ma europeo, e richiede un approccio condiviso da tutte le parti coinvolte, imprese, governi e parti sociali che non dovrebbero mai essere avversari ma, a maggior ragione in questo momento, devono essere alleati».
Qual è la sua visione sulla mobilità del futuro?
«Credo che dovremo ripensare la mobilità come sistema […]. È una sfida complessa che richiede una nuova capacità di collaborazione tra industria, governo e parti sociali. Il senso di responsabilità verso il futuro è cruciale, e non si può pensare di affrontare questo cambiamento con una logica di contrapposizione.
DAZI SULLE AUTO ELETTRICHE CINESI
In Italia abbiamo capacità e risorse culturali per giocare un ruolo importante. Dobbiamo però avere il coraggio di sfuggire dalla sindrome della coazione a ripetere e gestire il nostro tempo storico in modo che il cambiamento sia sostenibile, economicamente e socialmente».