Giovanna Predoni per Lettera 43
Per più di una generazione il Sole 24 Ore ha rappresentato una di quelle certezze professionali e aziendali che di più non si poteva: solido, inaffondabile, una meta da raggiungere o per essere sulle sue pagine come intervistato o per scrivervi, comunque per far parte di un mondo, industria, finanza e quel tanto di politica e cultura nelle dosi giuste.
NAPOLETANO IN ASPETTATIVA NON RETRIBUITA
In molti sapevano ormai da qualche tempo quel che sarebbe accaduto, eppure quando gli avvisi di garanzia sono arrivati davvero non è stato un momento piacevole nemmeno per i pochissimi che non apprezzano la naturale simpatia del corpulento direttore Roberto Napoletano (in aspettativa non retribuita in seguito al Cda che ha nominato Guido Gentili suo successore ad interim), uno che è incapace di vedere gli altri a meno che in quel preciso momento non gli servano a qualcosa.
Venerdì, e anche sabato, domenica e lunedì, è comparsa dappertutto la ricostruzione dei fatti contestati dalla procura di Milano (Napoletano amministratore di fatto, copie digitali del giornale che salivano mentre le perdite aziendali aumentavano, di qui il falso in bilancio, e una piccola banda di manager che aveva trovato il modo di accontentare il direttore bulimico di copie e i propri portafogli a spese dell'azienda), ma nessuna analisi che spiegasse davvero come un'azienda quotata di proprietà dell'associazione delle imprese italiane abbia potuto ridursi in una situazione simile.
UNA PARTITA, TANTI PROTAGONISTI
E allora tocca farlo a noi di Lettera43.it con le pagelle dei protagonisti come nelle cronache del calcio, con la differenza che mettiamo tutti i protagonisti che in questi anni hanno giocato la partita e l'hanno persa. Avvertenza importante: cominciamo da chi ha i voti peggiori e andiamo a scalare verso il non classificato o non pervenuto o la sufficienza sulla fiducia.
GIORGIO SQUINZI: CON LUI IL SOLE DIVENTA UN PESSIMO HOUSE ORGAN
Sotto la presidenza Squinzi di Confindustria si verificano fatti e misfatti. Si fa intortare da Napoletano, lo designa unico tramite con l'azienda in cambio del fatto che il direttore funga da megafono con foto allegata a tutte le sue dichiarazioni. Col risultato di non andare più sugli altri giornali e sulle televisioni e di trasformare il Sole in un pessimo house organ. Crede a tutto quel che il suo amico gli dice e si trova d'accordo con Benito Benedini e Donatella Treu, l’ex presidente e amministratore delegato indagati, solo quando gli fanno intendere che il Direttore e Direttore Editoriale (rigorosamente con le maiuscole, vedere i comunicati ufficiali del gruppo) è il salvatore della patria.
UNA FORZATURA SENZA PRECEDENTI
Quando finisce il suo mandato, sembra accorgersi che l'azienda perde un sacco di soldi. Allora, rompendo una tradizione consolidata di Confindustria che vede il presidente uscente transitare alla guida della Luiss prima di tornare definitivamente a casa, e con una forzatura mai avvenuta prima, si autonomina presidente del Sole quando già il Consiglio generale di Confindustria ha eletto Vincenzo Boccia alla guida di viale dell'Astronomia.
Arriva a via Monte Rosa e si accorge che lì comanda Napoletano, che gli chiede di firmare note spese pressoché milionarie che Treu e Benedini non hanno fatto in tempo a firmargli e che il nuovo amministratore delegato Gabriele Del Torchio si rifiuta di siglare.
FATTI E MISFATTI
Squinzi, che prima di diventare presidente di Confindustria da imprenditore padrone di un'azienda familiare da 2 miliardi di fatturato girava in metropolitana per Milano, sbianca. E decide anche di mandare agli organi aziendali una lettera firmata mesi prima da Benedini e parcheggiata per riservatezza (!) presso uno studio legale di Milano, ma da Squinzi già in precedenza autorizzata, su un paracadute altrettanto milionario per Napoletano nel caso dovessero licenziarlo.
Particolare, questo, francamente incredibile: in quel periodo si parla di una cordata di imprenditori milanesi che dovrebbero rilevare il Sole. Nella cordata ci sarebbe anche Squinzi (che evita di smentire tali voci) e contemporaneamente il fu presidente di Confindustria allora al Sole rassicura nella lettera il suo direttore dal pericolo che egli stesso, come socio della eventuale cordata, possa decidere di licenziare il suo protetto.
VIA CON TUTTI I CONSIGLIERI
Il Comitato remunerazioni del Sole boccia l'accordo e Napoletano dice invece che è lui stesso, in un attacco di generosità davvero inconsulto, a rinunciare. Boccia, nel frattempo entrato in carica formalmente in Confindustria, sente puzza di bruciato e chiede in autunno, quando appare chiaro che occorrono un sacco di soldi per ricapitalizzare il Sole, la disponibilità dei consiglieri a dimettersi nel caso serva a favorire l'operazione finanziaria. Squinzi si offende, si dimette e fa dimettere i consiglieri che aveva nominato. Unica attenuante è il dubbio che una malattia non semplice da affrontare lo abbia confuso, ma il voto pessimo non cambia.
Inadeguato prima, durante e persino dopo (voto simile a chi si occupa della vicenda sui giornali, perché fa finta di non sapere).
ROBERTO NAPOLETANO: L'UOMO CHE SOGNAVA (TROPPO) IN GRANDE
Abituato ai modi rudi di Franco Caltagirone al Messaggero (l'unica concessione che l'editore gli accordava in cambio della sua convinta obbedienza era mangiare una spigola al giornale, di qui l'analogo soprannome datogli dai redattori capitolini nel frattempo ridotti a tirare la cinghia) quando arriva al Sole trova il burro: riporta il giornale nel suo ambito economico dopo le velleitarie escursioni generaliste di Gianni Riotta (cosa facile, se fosse arrivato dopo un qualsiasi altro direttore non se ne sarebbe accorto nessuno) e si rende conto che lì invece la catena di comando è del tutto lasca, quasi inesistente.
IL CORSERA NEL MIRINO
GIANNI RIOTTA - copyright Pizzi
La sensazione di libertà esagerata rispetto alla semiprigione della romana via del Tritone gli dà alla testa e si convince che può andare a dirigere il Corriere della Sera. Pensa che basti portare in alto i numeri delle copie e poi tutti dovranno riconoscere che il predestinato non potrà che essere lui. E quindi fa pressioni su chiunque potrebbe comprarne, giornalisti mobilitati come venditori, stalking anche in piena notte a manager e impiegati per contare le copie ogni due ore.
Risultato? Al Corriere non ci va, perché per dirigere il primo giornale italiano bisogna anche saper stare a tavola e tutti sanno con quale stile mangia il direttore del Sole. E poi tutto il mercato editoriale sa che dietro le copie che salgono c'è qualcosa che non va, a partire proprio dai dati aziendali.
LA DITTATURA DELLE COPIE
Senza contare un altro effetto di cui oggi si occupano i pm: dietro la dittatura delle copie a tutti i costi stressata dal direttore editoriale (metto la minuscola, non siamo nei comunicati ufficiali del Sole) un gruppuscolo di disonesti, alcuni dei quali qualche danno alle casse dell'azienda lo avevano già fatto e altri ci avevano provato, si organizza per mangiarci su. Ed ecco i 3 milioni di euro che spariscono, le copie che vanno al macero e quant'altro.
E pensare che se l'Amin Dada de noantri (altro soprannome, questa volta milanese) avesse esercitato il suo largo ruolo nell'interesse dell'azienda, dell'azionista e in questo modo di se stesso, avrebbe potuto restare al Sole quanto voleva e magari andare davvero a via Solferino (certo, avrebbe dovuto comunque imparare a stare a tavola).
AUTOSOSPESO IN ATTESA DI COSA?
Il suo capolavoro: a metà 2016 riesce a convincere il nuovo azionista di maggioranza Boccia di essersi opposto con tutte le sue forze a Squinzi che lo voleva arruolare nella fantomatica cordata che stava per impossessarsi del giornale. Gli dice di aver fatto da scudo all’invasione dei barbari. Peccato che Squinzi lo abbia già scaricato per via delle note spese. Poi, quando i buoi sono scappati, si autosospende non si capisce in attesa di cosa.
Senza voto: lo ha giudicato più volte la redazione, che lo conosce bene.
LUIGI ABETE: IL DECLINO DI UN MEDIATORE NATO
Già da giovane presidente di Confindustria con l'orologio sopra al polsino come Gianni Agnelli firma nel '93 l'accordo sul costo del lavoro con il premier Carlo Azeglio Ciampi ed evita all'Italia la deriva cilena (c'erano anche da noi i camionisti in sciopero). Poi per tali meriti e per le sue capacità di relazione diventa presidente di Bnl. Continua a frequentare assiduamente Confindustria nella buona e nella cattiva sorte, con presidenti amici e non, è nel Cda del Sole da molti mandati e alla Luiss è di casa.
SCUDO UMANO DI NAPOLETANO
Sempre attento a trovare il punto di mediazione nell'interesse della casa comune, da circa un anno ha perso totalmente lucidità diventando lo scudo umano di Napoletano, una sorte francamente indecorosa di cui continua a non rendersi conto. E la cosa peggiore è che è diventato pure protervo, certo a causa dell'accoppiata con Amin Dada.
Inspiegabile, a meno che non stesse lavorando per qualche amico che potrebbe comprare a quattro soldi il giornale rosa. Ipotesi verosimile. Salvo, unica alternativa, sospettarlo di un amore senile con Napoletano difficile da pensare per un uomo che nella vita si è sempre accompagnato a donne belle e di fascino.
Voto: 2 (di stima).
DONATELLA TREU: INESPERTA DEL SETTORE, STRUMENTALIZZATA
Se le donne hanno il soffitto di cristallo che ne frena l'ascesa ai vertici delle varie professioni, la signora in questione ha avuto un ascensore che non si aspettava, quindi forse prematuro. Passata da un'anonima multinazionale alla guida di uno dei gruppi editoriali più importanti del Paese, scopre in un colpo solo l'esistenza dei giornali, della Confindustria e di tante cose con cui prima non aveva dimestichezza. Forse proprio per supplire all’inesperienza del settore, si fida molto di due persone che la strumentalizzano: prima Riotta (che le assicura di essere più potente dell'allora presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia) e poi Napoletano.
MANAGER USA E GETTA
la Ad del Sole Ore Donatella Treu e il Cavalier Benedini neo presidente del Sole ore
A entrambi, con preferenza personale per il primo, delega scelte aziendali che dovrebbero essere sue. Sarà per colpa della sua insicurezza che alla corte di Donatella si sussegue una pletora di manager: in sei anni ne usa e getta oltre 50. Ai preferiti offre laute percentuali sugli "affari" che portano o dicono di portare, altri si organizzano da soli a spese dell'azienda. Molte cose, per carità di patria, vengono dimenticate (una per tutte Fabbrica 24) perché lei ha la grande qualità di far passare le perdite aziendali come slegate dai fatti, mascherate dietro al paravento delle copie che a parole crescono.
Voto: 5-, per l’ingenuità e perché opporsi allo strapotere di Napoletano non era facile.
BENITO BENEDINI: IL FEDELE PROTETTORE DI SUA MAESTÀ IL DIRETTORE
Una compagnia di comici per funzionare ha bisogno di qualcuno che creda sul serio alla parte assegnatagli. Lui lo fa, in quasi totale buonafede: se qualcuno avanza qualche velata critica al Direttore Editoriale lui si infastidisce, mentre della Treu diventa il paterno protettore, bevendosi qualsiasi cosa racconta, pur sapendo dentro di sè che forse così non è. In proposito, rimane celebre la sua immagine dell'"ultimo miglio" da percorrere per dichiarare finalmente risanato il Sole.
Voto: 3 per via dell'età e non del profumo di donna che forse accanto alla Treu gli pareva di sentire.
GABRIELE DEL TORCHIO: UN RUOLO COMPLESSO TRA GUAI E ACCUSE
Calato in un ruolo complesso, forse non fuga del tutto i dubbi secondo cui è l'uomo della cordata perdente del Corriere, e quindi l'amico del giaguaro al Sole. Stare nello stesso stabile di Amin Dada gli procura guai di salute, fortunatamente risolti. Un campanello d’allarme che però lo induce a lasciare la stressante poltrona.
Qualcuno in seno a Confindustria lo accusa di aver scoperto più altarini di quanti ce ne siano per deprezzare l'azienda (ma onore al merito per averne scoperto i sordidi anfratti) e farla comprare con poco dagli amici. Accuse che lui respinge con sdegno. Chi lo accusa, del resto, aveva come minimo altri amici pronti a fare la stessa cosa.
Voto: periodo breve ma intenso, non classificabile.
FRANCO MOSCETTI: IL SOLE NON È AMPLIFON, MA LUI FA BEN SPERARE
Demiurgo come manager delle performance di Amplifon, è convinto di poterle trasferire senza colpo ferire nell'editoria grazie al proprio elevato buonsenso e al fatto di aver scritto qualche buon articolo proprio su questo sito. Viene inserito nella lista dei cacciatori di teste quando la scelta ricade su Del Torchio; poi per risparmiare viene premiato, grazie ai buoni uffici di due fedelissime renziane (una è Luisa Todini, l'altra ve la dico la prossima volta), visto che lui è stato suggerito a Vespa come spalla di Matteo Renzi nella sua prima partecipazione a Porta a Porta da segretario del Pd.
DEL TORCHIO DOCET
Evita in prima battuta, memore del destino toccato a Del Torchio, di contrapporsi platealmente a Napoletano e ad Abete. Prevede per quest'anno 15 milioni in meno di ricavi, chiede quanti più soldi possibile a Confindustria senza scoprire il piano industriale, appare prigioniero di alcuni collaboratori che si è scelto – direttore finanziario in testa - o gli sono stati imposti non si sa da chi, ama le interviste tra cui spicca quella in cui scopre che basta fare sinergie interne per salvare l'azienda. Della serie: noi speriamo che ce la caviamo.
Voto: 5 perché non abbiamo alternative e non possiamo prenderci la responsabilità di bruciare anche lui.
VINCENZO BOCCIA: DÀ RETTA A NAPOLETANO E ABETE, ERRORE FATALE
Anticipiamo il voto: 6--. perché fino a pochi mesi fa non aveva responsabilità alcuna nella crisi dell'ex gioiello di Confindustria.
A lungo Boccia si tiene lontano dai guai del Sole con una sorta di salernitana preveggenza. Poi si ritrova addosso il disastro e se ne assume la responsabilità come presidente di Confindustria pro tempore. Il voto avrebbe potuto essere migliore se non avesse dato retta (errore fatale) a Napoletano e ad Abete, questo è poco ma sicuro. La sua idea era di mettere al sicuro l'azienda con l'aumento di capitale e poi occuparsi del direttore insieme a chi l'aveva aiutato a risolvere la questione finanziaria.
IN ARRIVO MODIFICHE AL REGOLAMENTO
Ora, avendo noi spiegato le gravi responsabilità del suo predecessore in via dell'Astronomia, deve aver compreso la necessità di mettere mano al regolamento. Infatti sta per far approvare una integrazione alla riforma Pesenti, con il seguente articolo e il relativo comma: quando viene eletto il nuovo presidente di Confindustria, il direttore del Sole deve dare automaticamente le dimissioni, e lo stesso dovranno fare i vertici manageriali della struttura romana della confederazione (ogni riferimento al direttore generale Marcella Panucci è puramente casuale).
Entrambi i soggetti non possono fare campagna elettorale per la nuova presidenza. Così in futuro si risparmiano i casi come quello di Amin Dada, che prima ha appoggiato uno alla volta tutti i candidati in corsa (celebre un memorandum su Bonometti) e poi si è aggrappato alla poltrona, rischiando da una parte di far crollare un edificio già pericolante e dall'altra di irritare ancor di più gli inquirenti.