Giovanni Pons per “Affari & Finanza - la Repubblica”
Martedì 26 luglio le azioni ordinarie Tim hanno toccato il loro minimo storico a 0,20 euro, riflettendo un valore dell'azienda al netto dei debiti di 3,065 miliardi. Se si aggiungono le azioni di risparmio, che valgono circa 1,3 miliardi, si arriva a un valore dell'equity di Tim di 4,3 miliardi. Avendo in pancia circa 20 miliardi di debiti il valore dell'impresa sfiora i 25 miliardi di euro, includendo tutto, la parte infrastrutturale, Sparkle, la parte servizi al dettaglio e quella di servizi alle imprese.
Il problema è che il prezzo di Borsa di Tim non sta minimamente riflettendo il piano di separazione del business in tre tronconi annunciato all'inizio di marzo da Pietro Labriola, nominato ad a dicembre 2021 al posto di Luigi Gubitosi. Solitamente, quando una società annuncia uno spin off, emerge il valore intrinseco dei diversi business e il mercato comincia a incorporare i nuovi valori nel prezzo, al netto del rischio che il piano vada effettivamente in porto.
Ecco, nel caso di Tim ciò non è accaduto e continua a non accadere nonostante il 7 luglio scorso il team di Labriola abbia specificato meglio al mercato come intende dividere i diversi business. Come mai? Le ragioni possono essere diverse e vanno dalla credibilità del management - se sia o meno ritenuto in grado di portare avanti un piano del genere - alle difficoltà esterne che il progetto può incontrare nel suo cammino.
In effetti, al di là delle dichiarazioni di principio, sono pochi gli elementi che vanno nella direzione indicata. Un punto forte era la ferma determinazione del governo Draghi a proseguire, attraverso la Cdp, nella realizzazione della rete unica attraverso l'unione tra l'infrastruttura Tim e quella messa in piedi da Open Fiber dal 2015.
La caduta del governo ha comportato una picchiata del titolo del 13%, confermando che il sostegno governativo era importante e al momento non si sa né quali saranno i colori del prossimo esecutivo né il suo orientamento. La caduta di Draghi indebolisce anche i vertici di Cdp, in particolare l'ad Dario Scannapieco, che era stato nominato poco più di un anno fa proprio su input del governo.
E inoltre è in uscita il manager della Cassa che finora aveva trattato l'operazione rete unica, Pierpaolo Di Stefano. Il quale in una recente intervista a Repubblica ha ribadito che «la strategicità per il Paese, e l'opportunità sia sotto il profilo industriale che finanziario sono talmente evidenti che unire le forze in un'unica rete in fibra è imprescindibile per tutti. L'unico ostacolo potrebbe essere rappresentato dall'Antitrust Ue.
Dovremo operare quindi in modo tale che non ci siano richieste che vanifichino il progetto stesso della rete unica. Detto ciò, non vedo un motivo per non arrivare in tempi brevi a sottoporre insieme a Macquarie, per conto di Open Fiber, la migliore offerta non vincolante possibile a Tim».
Dall'altra parte non si respira aria migliore. Anche il capo della rete Tim, Stefano Siragusa, ha rimesso le deleghe e uscirà a dicembre. Non ha condiviso la visione di Labriola di fare della Telecom uno spezzatino senza un piano di sviluppo sulle varie aree in grado di portare crescita duratura. In pratica, secondo l'accusa, manca una visione di medio periodo. Inoltre, nella presentazione del 7 luglio non si sono chiariti alcuni punti fondamentali per il prosieguo dell'operazione.
Cdp vorrebbe infatti inserire nel perimetro della rete da scorporare anche il backbone e il trasporto, ma Tim non ha dato una risposta al riguardo e tutto ciò influisce sulla valutazione degli asset da separare. Come si fa a fare un'offerta se non è ben definito l'oggetto della vendita?
Intanto però i numeri fioccano e rendono la trattativa ancora più difficile. Vivendi, attraverso il suo ad Arnaud De Puyfontaine, dal suo pulpito di primo azionista Tim che sta vendendo, ha sparato 31 miliardi come valore della rete, mentre i suoi advisor sono arrivati addirittura a 34. Alla società separata andrebbero accollati 10-11 miliardi di debiti, mentre l'ebitda è una variabile non ben definita, forse 2 miliardi o anche più. E allora la domanda sorge spontanea: come fa Cdp, che gestisce i soldi dei risparmiatori postali, a comprare la rete Tim riconoscendo ai francesi il valore monstre di 20 miliardi (31 meno 11 di debiti) quando la Borsa valuta 4,5 miliardi tutta Telecom, cioé inclusa la parte di servizi commerciali sia al dettaglio che alle imprese, oltre a tutte le altre infrastrutture a partire da Sparkle?
Avendo in portafoglio già il 10% di Tim, a Cdp potrebbe convenire lanciare un'Opa sul 100% della società quotata e poi procedere essa stessa a effettuare la divisione della rete nel migliore dei modi. Anche accollandosi momentaneamente i 20 miliardi di debiti in pancia alla società.
Altrimenti i risparmiatori postali potrebbero anche inalberarsi, chiedere spiegazioni, intraprendere azioni legali. Tutto ciò premesso, stando alle dichiarazioni pubbliche, Cdp e Tim, con i rispettivi manager chiave in uscita, entro fine agosto, con la campagna elettorale in corso, devono sedersi a un tavolo e trovare un punto di incontro per il valore di una società infrastrutturale il cui contenuto in termini di asset non è ancora definito.
Quando giovedì 4 Labriola ha detto agli analisti che il progetto rete unica va avanti, il titolo ha perso il 3%. Gli investitori si chiedono come faccia Cdp a presentare un'offerta che implicherebbe un esborso di almeno 4 miliardi senza avere un via libera dal suo azionista (il Mef) già pressato dai partiti per stoppare la vendita di Ita.
Una via potrebbe essere quella di mandare avanti fondi a presentare un'offerta a Tim su una valutazione della rete intorno a 18 miliardi, secondo uno schema della rete unica futura che veda Cdp al 40% e Macquarie e Kkr al 30%. Ma difficilmente questa eventuale offerta potrà essere accettata da Vivendi. In ogni caso, se anche si riuscisse ad andare avanti e arrivare a un'offerta vincolante, l'accordo dovrà essere spedito a Bruxelles all'attenzione di Margrethe Vestager, che potrebbe imporre dei rimedi affinché con il ritorno a una situazione di monopolio della rete in Italia lo spazio per altri operatori sia comunque garantito. Sperando di non tornare alla casella di partenza.