GUARDA QUI IL VIDEO DI MILENA GABANELLI SUL LAVORO FLESSIBILE IN ITALIA
Francesco Tortora e Milena Gabanelli per il “Corriere della Sera”
Sono almeno 25 anni che l’Italia punta sui contratti di lavoro flessibili. Nel 1997 Tiziano Treu, ministro nel primo governo Prodi, introduce l’omonimo pacchetto che insieme alla successiva legge Biagi (2003) regolamenta i primi «lavori atipici». Da allora diverse riforme, tra cui il Jobs Act di Renzi, rendono le regole sempre più agili.
Adesso tocca al governo Meloni, che oltre a ridisegnare il sistema dei voucher, è pronto a incentivare ulteriormente i contratti a termine. Non c’è dubbio che in un mercato molto variegato i contratti debbano permettere una certa flessibilità, ma di quanto si sta allungando questo elastico?
I voucher sono buoni a ore ideati nel 2003 dalla riforma Biagi per garantire i contributi e una copertura contro gli infortuni ai lavoratori occasionali di solito pagati in nero, come babysitter, colf, insegnanti privati, raccoglitori d’uva. L’utilizzo è limitato a studenti, pensionati, casalinghe e disoccupati.
Dal 2009 la possibilità di pagare con i voucher viene estesa ad altre figure professionali e nel 2012 con la riforma Fornero si allarga a tutti i settori produttivi e a ogni tipo di lavoratore. La richiesta di voucher si impenna: se nel 2008 ne sono emessi poco più di mezzo milione, nel 2015 diventano 134 milioni. Si impenna anche l’abuso, soprattutto nell’edilizia, nel turismo e nel commercio […] In pratica con questa modalità evitano di assumere lavoratori utilizzati a tempo pieno spacciandoli come occasionali.
Nel 2017 il governo Gentiloni decide di abolirli e con il successivo decreto n.50 del 2017 fissa limiti stringenti (libretto famiglia e PrestO). La finanziaria 2023 ne allarga invece l’uso alle imprese che hanno fino a 10 dipendenti a tempo indeterminato (escluse quelle agricole ed edilizie). L’importo orario minimo netto è di 9 euro all’ora, quello giornaliero di 36 euro. La somma che ogni azienda può spendere in voucher è di 10 mila euro all’anno, con l’obbligo di comunicare preventivamente all’Inps l’utilizzo di lavoratori occasionali.
Il governo Meloni dichiara che l’estensione della misura servirà a ridurre il sommerso, ma la norma, come si è già visto, è facilmente aggirabile. […]
Negli ultimi anni in Italia il contratto di lavoro più diffuso è stato quello a tempo determinato. Nel 2021 ne sono stati attivati 7,7 milioni (il 69% del totale) che sono diventati 8,5 milioni nel 2022. Nel terzo trimestre dell’anno scorso oltre il 31% dei contratti a termine sottoscritti aveva una durata massima di un mese e il 46,5% non superava i 90 giorni.
Il decreto Dignità del 2018 prevede che dopo un anno di contratto a termine scatti l’assunzione, se invece l’imprenditore intende prolungarlo, il tempo massimo concesso è di dodici mesi, ma deve indicare una causale e pagare uno 0,5% di contribuzione in più. In una recente audizione al Senato la ministra del Lavoro Marina Calderone ha sottolineato come «una rigida tipizzazione legale delle causali possa rappresentare un limite per il sistema imprenditoriale e lavorativo del Paese». Eppure siamo uno dei Paesi dell’Eurozona con più contratti a termine (16,4%) e restiamo molto sopra la media dell’Ocse (11,8%).
[…]
Poi ci sono i contratti part-time indesiderati. Sempre nel 2008 coloro che hanno dovuto accettarli pur preferendo un lavoro a tempo pieno erano 1,3 milioni, nel 2022 sono saliti a 2,7 milioni. L’Italia ha anche il record del part-time involontario nella Ue: circa l’11,3% del totale dei lavoratori vorrebbe lavorare full time, ma deve accontentarsi di mezza giornata. La media Ocse è del 3,4%.
[…] Alla fine — spiega il rapporto 2022 dell’Inapp (Istituto nazionale per le politiche pubbliche) — il lavoro atipico non è più quello strumento intermedio che serve poi ad ottenere un lavoro stabile, ma è diventato «una trappola» che ti mantiene precario a vita.
[…] Le statistiche evidenziano che in media un lavoratore a tempo indeterminato nel 2021 ha ricevuto un salario di poco sopra i 26 mila euro all’anno, contro i 9.634 euro di un lavoratore a tempo determinato e i 6.425 di uno stagionale. Tra 2010 e 2020 circa l’11,3% dei lavoratori italiani ha avuto una retribuzione sotto i 14.460 euro lordi, mentre l’8,7% del totale vive con uno stipendio che non raggiunge i 10 mila euro l’anno.
[…] La ricerca della «Fondazione Studi Consulenti del Lavoro» sui primi 9 mesi del 2021 mostra questo: chi si dimette è giovane e con un lavoro a bassa qualificazione. Il 52,9% ha un contratto a termine e il 37,9% un contratto part-time. La decisione spagnola La Spagna è il Paese europeo che da anni ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile. Per uscirne, a inizio 2022, ha varato una riforma del lavoro, in accordo con sindacati e imprese, che va nella direzione opposta a quella italiana: forte riduzione dei contratti a termine e limitazione a tutte le forme di esternalizzazione del lavoro.
Risultato: 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato, crollo del tasso di precarietà di 12 punti (dal 26,1% al 14%) con enorme crescita di posti fissi per donne e under 30. A febbraio 2023 il governo di Pedro Sánchez, per contrastare l’inflazione, ha alzato anche il salario minimo di 93,3 euro al mese per 14 mensilità. È il caso di evidenziare che per rilanciare l’economia non è necessario comprimere i salari e le garanzie dei lavoratori: nel 2022 l’economia spagnola è cresciuta del 5,5%.