Francesco Spini per ''La Stampa''
Il piano con cui Tim ha messo a punto FiberCop, la società in cui hanno "prenotato" il loro ingresso il fondo americano Kkr (col 37,5%) e Fastweb (4,5%), nata per la rete secondaria ma che il governo vorrebbe ricomprendesse anche le infrastrutture di Open Fiber, punta a ridurre quanto più possibile il rischio legato all' Antitrust. Da giorni va allargandosi lo schieramento - da frange importanti della maggioranza di governo a Enel e Cdp, le azioniste di Open Fiber - contro la proposta di un modello «verticalmente integrato» in cui cioè la rete faccia capo alla stessa società che vende anche i servizi, paventando il rischio della riproposizione del monopolio della vecchia Sip-Telecom.
In Tim, invece, si richiamano al nuovo codice europeo delle comunicazioni elettroniche varato da Bruxelles un anno e mezzo fa e in via di attuazione in Italia, che ha cambiato le regole proprio per facilitare la costruzione di infrastrutture di nuova generazione. Il ragionamento di partenza è semplice. Gli ex monopolisti, in genere, tendono a lavorare sulla loro rete esistente, per contro, i concorrenti da soli non vanno lontano. Che fare?
Bruxelles ha mutuato il modello del coinvestimento, già testato con successo in paesi come Portogallo e Spagna. Questa normativa (articolo 76 della direttiva 2018/1972) consente alle imprese «detentrici di un significativo potere di mercato», come è Telecom, di presentare impegni «per aprire al coinvestimento la realizzazione di una nuova rete ad altissima capacità».
L' offerta deve essere «aperta in qualsiasi momento durante il periodo di vita della rete» e deve permettere di competere. FiberCop diventerebbe una società dedicata alla costruzione e manutenzione della rete, generando importanti economie di scala, visto che l' 85-90% dei costi di sviluppo della rete risiede negli scavi per posare i cavidotti dove passa la fibra ottica.
Se la parte passiva della rete (i tubi e la fibra spenta) viene costruita da un unico soggetto, i suoi coinvestitori - chiamati ad assumersi un rischio d' impresa - potranno accendere una propria rete attiva che, anche fisicamente, avrà un pozzetto dedicato davanti a ciascuna casa da cablare. Tra un pozzetto e l' altro la concorrenza sarebbe salva. Le reti, nello schema di Tim, sarebbero dunque plurime, il costruttore/manutentore unico.
Se questo sia in grado di fugare tutti i dubbi dell' Antitrust appare difficile dirlo: il Berec (authority che riunisce i regolatori Ue) sta lavorando per estendere le nuove norme anche alle operazioni di coinvestimento precedenti. Possibili maggiori problemi laddove già ci sono sovrapposizioni tra reti in fibra, mentre paradossalmente il ricambio dei tratti in rame con la fibra eliminerebbe il monopolio di Tim, legato al rame.
luigi gubitosi presenta il 5g di tim 1
In ogni caso Tim, come ha avuto modo di dire l' ad Luigi Gubitosi, cercherà di coinvolgere nuovi investitori tra gli operatori nazionali ma anche locali visto che potranno intervenire anche solo per determinate tratte locali di rete a cui dovessero essere interessati, con meccanismi di minimi garantiti. In secondo luogo si starebbe lavorando a una governance che dia pesi e contrappesi alla presenza, comunque ingombrante, di Tim, che parte da una quota del 58%. Un controllo che, Telecom, anche in vista di un futuro consolidamento europeo tra società del settore, non intende mollare.
In ambienti di governo, 5 Stelle ma anche parte del Pd, si pone anche l' accento sul fatto che, primo azionista di Tim, è la francese Vivendi. Un ostacolo in più, in tempi di nazionalismi. Nel contempo la società di rating Fitch vede l' integrazione di Open Fiber quasi come una via obbligata. Con l' operazione FiberCop, Tim scenderebbe al 58% della sua rete secondaria. Se non vuole avere impatti sul suo merito di credito, dice in sostanza Fitch, deve consolidare il mercato e integrare anche Open Fiber.