Estratto dell’articolo di Alessandro Barbera per “La Stampa”
[…] Oggi il Consiglio dei ministri si riunisce per dare il via libera formale all'offerta di acquisizione del 20 per cento di Netco, la società della rete di Tim, da parte di una cordata - chiamiamola così - fra il Tesoro italiano e il fondo di private equity americano Kkr. A volerla raccontare in estrema sintesi, il decreto che firmerà Giorgia Meloni sancirà il ritorno dello Stato nella rete di telefonia fissa dalla privatizzazione del 1997, voluta e decisa da Romano Prodi.
In realtà la faccenda è un po' più articolata di così, perché lo Stato sarà lo sparring partner di un'operazione in cui per ora sborsa 2,5 miliardi di euro di una rete che vale dieci volte tanto. Ma facciamo prima un passo indietro.
L'inizio del dibattito sul ritorno dello Stato nella rete di Tim risale a 17 anni fa. A Palazzo Chigi c'è (di nuovo) Romano Prodi. Il suo consigliere economico, lo scomparso ex cestista Angelo Rovati, consegna all'allora numero uno di Telecom Marco Tronchetti Provera un documento di 27 pagine in cui ipotizza un'operazione di scorporo della rete.
Quell'appunto, scritto da Rovati con i consigli - lo raccontò lui stesso - di Franco Bernabè e Francesco Caio, provocò un terremoto e le dimissioni sia di Rovati che di Tronchetti. Quel progetto prevedeva l'ingresso nella rete di Tim di Cassa depositi e prestiti con il 30 per cento.
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata molta, benché i problemi di Telecom siano gli stessi di allora. Di più: nel frattempo, nel tentativo di sopperire alla scarsa capacità dell'ex monopolista di fare sufficienti investimenti nella rete, il governo Renzi ha sostenuto la nascita di un concorrente (Open Fiber) che non versa in splendide acque e ora il governo Meloni tenta di assorbire nell'operazione. La ragione di tutto ciò è nell'esigenza di rendere neutrale la rete di telefonia fissa e le sue articolazioni sottomarine. […]
Kkr è l'acronimo di Kohlberg Kravis Roberts, tre importanti uomini d'affari americani che alla fine degli anni Settanta hanno fondato uno dei più importanti fondi di private equity americani esperto in operazioni finanziate con l'aiuto delle banche. […]
Il 24 giugno Kkr ha ricevuto dal consiglio di amministrazione di Tim il diritto esclusivo a trattare l'acquisto del 100 per cento di tutti i cavi che dalle centrali di Tim arrivano fino alle nostre case e di quelli sottomarini della controllata Sparkle. L'operazione dovrebbe costare in tutto 21 miliardi, che diventerebbero 23 nel caso in cui nella partita dovesse entrare la già citata Open Fiber, oggi controllata al 60 per cento da Cassa depositi e prestiti (rieccola) e al 40 da un altro fondo di private equity, l'australiano Macquarie.
Kkr sarebbe disposta a finanziare l'operazione per la maggior parte con capitale proprio e per il resto a debito. Nella cordata, in un secondo tempo, potrebbe entrare anche il fondo privato (italiano) F2I, partecipato da alcune grandi banche.
Che ruolo dovrebbe avere lo Stato in tutto ciò? Per capirlo occorre riprendere il comunicato con cui il Tesoro il 10 agosto ha dato il via libera all'operazione: «I termini dell'offerta dal punto di vista dei rapporti tra le parti prevedono un ruolo decisivo del governo nella definizione delle scelte strategiche».
Detta di nuovo in sintesi: il Tesoro (azionista attraverso Cdp con il 10 per cento) ha di fatto selezionato Kkr come partner per la rete, ma in cambio - grazie alla cosiddetta Golden power - avrà garanzie sulla gestione della rete stessa. Resta un ultimo problema, di cui si deve occupare direttamente Meloni: gestire colui che deve vendere, ovvero l'azionista più importante di Tim, Vivendi. I francesi attendono a giorni di essere convocati per un incontro a Palazzo Chigi. La partita è lunga e ancora piena di ostacoli.
vincent bollore Vincent Bollore - Emmanuel Macron - Vivendi Tim -poste by macondo