Estratto dell’articolo di Maximilian Cellino per “il Sole 24 Ore”
JOE BIDEN IN VERSIONE TRADER A WALL STREET - IMMAGINE CREATA CON MIDJOURNEY
Torna a salire l’inflazione made in Usa, meno però di quanto ci si potesse attendere, mentre le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione lasciano intravedere qualche granello di sabbia nell’ingranaggio finora ben oliato del mercato del lavoro a stelle e strisce.
Non potevano augurarsi forse di meglio ieri gli investitori che puntano su una nuova pausa (forse anche definitiva) della Federal Reserve sui tassi il mese prossimo, che si sono infatti visti correre ad acquistare azioni e (almeno in un primo momento) titoli di Stato, vendendo quasi esclusivamente dollari e riportando l’euro sopra quota 1,10.
Gli indici di Wall Street si sono involati in apertura di seduta, fornendo così un’ulteriore spinta a un’Europa in precedenza già ben intonata: Piazza Affari ha chiuso con un rialzo dello 0,94% mettendosi per il momento alle spalle la vicenda della tassazione sugli extraprofitti delle banche […].
Hanno invece oscillato i rendimenti dei titoli di Stato: quelli Usa, scesi nell’immediato sulla scadenza decennale sotto il 4%, hanno poi recuperato terreno. Quelli europei sono rimasti sui livelli elevati della vigilia, con Bund al 2,50%, BTp al 4,14% (nel giorno in cui il Tesoro ha collocato 8 miliardi di BoT annuali a un rendimento in calo al 3,82%) e spread Italia-Germania a 164 punti.
Anche perché il bollettino Bce ha ribadito che i tassi di interesse Eurozona saranno «fissati su livelli sufficientemente restrittivi finché necessario».
Cosa abbia generato ottimismo fra gli operatori è piuttosto facile da intuire e viene prontamente spiegato dagli analisti: Michelle Cluver, Portfolio Strategist di Global X, parla di «indicatori incoraggianti sull’inflazione per i mercati e per le aspettative della Fed» proprio perché vanno incontro allo scenario largamente auspicato da tutti di un «potenziale atterraggio morbido» della prima economia mondiale.
Un ragionamento tradotto nella pratica da Greg Wilensky, Head of Us Fixed Income di Janus Henderson, quando sottolinea che quanto pubblicato ieri «aumenta la probabilità che la Fed mantenga i tassi invariati a settembre», prima però di invitare alla cautela perché «resta ancora molto tempo e molti dati in arrivo prima della prossima riunione».
L’idea generale sembra tuttavia essere che «se i dati sull’occupazione negli Stati Uniti in agosto dovessero deludere e il prossimo rapporto sull’inflazione non mostrasse alcun grande rimbalzo, l’aumento dei tassi a settembre sembrerebbe molto incerto», per dirla con le parole di Walid Koudmani, chief market analysts di Xtb. […]
[…] C’è però chi preferisce adottare un atteggiamento più prudente, che in qualche misura serve anche a spiegare il rallentamento dei mercati dopo l’accelerazione immediatamente successiva alla pubblicazione degli indici. «Dopo due dati consecutivi sull’inflazione più bassi delle aspettative alcuni investitori sono forse troppo ottimisti nell’aspettarsi un taglio dei tassi nel primo trimestre del 2024», avverte Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm […].