LE SANZIONI NON VANNO DI MODA – DOPO IL PERIODO NERO DELLA PANDEMIA, ARRIVA LA GUERRA A DARE UNA MAZZATA AL SETTORE DEI BRAND DEL LUSSO. SECONDO LE STIME DI SISTEMA MODA ITALIA, L'EXPORT TOTALE NEL 2021 IN RUSSIA E UCRAINA VALEVA CIRCA 1,1 MILIARDI DI EURO. QUESTO VUOL DIRE CHE LA MODA ITALIANA NEL SOLO MESE SCORSO POTREBBE AVER PERSO 91,1 MILIONI A CAUSA DELLE LIMITAZIONI IMPOSTE DALL'UE…

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Gianluca Baldini per “la Verità”

 

mario draghi made in italia mario draghi made in italia

Calcolare con precisione quanto le sanzioni verso la Russia abbiano impattato sulla moda italiana non è semplice.

Secondo le stime di Sistema moda Italia, l'export totale nel 2021 in Russia e Ucraina valeva circa 1,1 miliardi di euro. Dividendo questo valore per 12 mesi si ottiene una cifra di 91,1 milioni di euro: quanto la moda italiana solo il mese scorso potrebbe aver perso con le nuove limitazioni imposte dall'Ue.

 

D'altronde, le sanzioni hanno imposto restrizioni a esportare beni di lusso verso Mosca e dintorni (del valore superiore a 300 euro per articolo), tra cui rientrano diversi articoli di abbigliamento, calzature, accessori, gioielleria, orologi, articoli da viaggio, borsette, profumi e cosmetici.

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Non stupisce, insomma, che le limitazioni volute da Bruxelles (ma anche dagli Stati Uniti) abbiano un serio impatto sulla moda italiana.

D'altronde, oggi, il valore delle esportazioni di Russia e Ucraina vale il 3,5% del totale (2,9% Russia e 0,6% Ucraina).

 

A questo si aggiunga che il settore, prima del 24 febbraio, data di inizio dell'invasione russa in Ucraina, veniva da due anni di magra dovuta al Covid-19 che ha comportato la chiusura di molti punti vendita in giro per il mondo.

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Secondo i dati di Sistema moda Italia, le esportazioni verso la Russia, dopo aver superato il miliardo di euro nel 2018, hanno accusato un calo del 17% nel 2020. Nel 2021, però, quando la morsa della pandemia sembrava un poco allentata, il giro d'affari è stato interessato da un recupero del 15,1% arrivando a quota 947 milioni di euro (-4,5% sul medesimo periodo del 2019, ovvero circa 44,3 milioni in meno).

 

Secondo i dati Smi, nel corso del 2021 l'export destinato alla Russia valeva il 2,9% del totale venduto oltreconfine (32,4 miliardi). Del resto, la Russia, per importanza di mercato nel 2021, per l'Italia si posizionava al nono posto, dopo Hong Kong e prima della Corea del Sud.

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Nel 2017 l'incidenza del mercato russo per la moda italiana era stata pari al 3,4%, nel 2019 (anno pre-Covid) era stata pari al 3%. L'andamento del mercato, insomma, già da prima della pandemia era in calo. Più in dettaglio, dal 2005 al 2021, il picco di export si è verificato nel 2008 quando la Russia aveva raggiunto quota 1,7 miliardi di euro. Un altro livello significativo era stato raggiunto nel 2013, quando la quota si era portata a 1,5 miliardi. Torna poi di poco sopra al miliardo nel 2017.

 

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Se si focalizza l'attenzione sulla moda donna, nel 2021 l'incidenza di questa nicchia sul totale di comparto è stata pari al 4,5% confermandosi al nono posto, mentre nel 2017 era stata del 5,7% (corrispondente al settimo posto tra i migliori mercati per il settore). Insomma, proprio il mondo della moda femminile è tra quello che ha sofferto di più negli ultimi anni. Si ricordi che nel 2013 il mercato russo era stato il secondo per valore di export di «womenswear», con una quota del 10,2%.

 

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Con le sanzioni, inoltre, il mercato italiano dice addio anche alle esportazioni verso l'Ucraina. Sempre secondo i dati di Sistema moda Italia, l'export verso Kiev e dintorni, dopo aver superato i 170 milioni di euro nel 2019, ha contenuto la flessione al -10,8% nel 2020. Nel 2021, quando la pandemia pareva in diminuzione, l'export è cresciuto del +18,9% portandosi a circa 181 milioni di euro, ovvero su livelli superiori del +6% rispetto al medesimo periodo del 2019 (ovvero 10,3 milioni di euro in più in termini assoluti).

 

Come spiega alla Verità, Sergio Tamborini, presidente di Sistema moda Italia, «a due mesi dall'inizio del conflitto sappiamo che a risentirne sono le aziende in particolare del settore moda e calzaturiero di alcuni distretti per il loro naturale sbocco sul mercato russo», spiega. «Ad esempio, ne hanno risentito alcune delle calzature prodotte nelle Marche, mentre il Veneto è un forte esportatore di abbigliamento. A essere coinvolti sono anche alcuni marchi di fascia media i cui negozi hanno chiuso a tempo indefinito. I mercati russo e ucraino sono in pausa. Ma le difficoltà interessano anche gli approvvigionamenti di materiali vitali per la filiera del tessile, come i fertilizzanti azotati dall'Ucraina, necessari nei processi di nobilitazione.

 

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A sovrastare il tutto, il tema del caro energia. Mentre l'effetto indotto è un'atmosfera non favorevole ai consumi». Ci sono anche alcuni imprenditori che, per aggirare le sanzioni, tentano la strada della triangolazione spedendo merce verso Paesi amici del Cremlino, come ad esempio l'Uzbekistan, e da lì dirigono le spedizioni verso l'ex Unione sovietica. Il meccanismo non è certamente lecito, ma per alcuni può significare la sopravvivenza, visto che la Russia poteva significare un mercato molto importante che ora è destinato a sparire dai radar per diverso tempo.

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