Estratto dell’articolo di Filippo Santelli per “la Repubblica”
Buona parte delle esportazioni italiane verso la Russia, a un anno e mezzo dall’inizio della guerra e nonostante le sanzioni contro Mosca, arriva ancora a destinazione. Ha solo preso vie traverse. A rivelarlo sono i dati sul commercio del 2022 e dell’inizio del 2023. Un periodo d’oro per il Made in Italy, che ha registrato vendite record in tutto il mondo, ma con aumenti esponenziali verso una serie di Paesi vicini geograficamente e politicamente alla Russia, con cui in passato l’Italia non aveva grandi rapporti commerciali.
Sono flussi che non riguardano solo il nostro Paese, ma anche gli altri esportatori europei, e vengono letti con preoccupazione sia a Bruxelles che a Washington: il sospetto è che all’interno dei container viaggino anche beni sottoposti a sanzioni, come l’elettronica avanzata, le tecnologie ad uso duale, civile e militare, o i beni di lusso. E che quindi Mosca stia aggirando i blocchi con la connivenza di governi amici e quella, più o meno consapevole ma certo interessata, delle aziende italiane ed europee.
Il caso più eclatante è il piccolo Kirghizistan, verso cui le esportazioni italiane sono aumentate del 178% nel 2022 e dal 409% tra gennaio e aprile di quest’anno. Aumenti fuori scala, con massimi storici superati di slancio, sono anche verso il Kazakistan (+67% sia l’anno scorso che questo), la Georgia (+57% tra gennaio e aprile) e l’Armenia (+80% lo scorso anno, raddoppio all’inizio del 2023). Come detto, questa grande deviazione non riguarda solo il Made in Italy, bensì tutte le imprese comunitarie. Prendiamo ancora il Kirghizistan: l’export Ue verso il Paese nel corso del 2022 si è impennato del 345%, sopra il miliardo di dollari.
Quello tedesco, nel confronto con il 2019 è più che decuplicato. Numeri che spiegano perché il regime e i russi più facoltosi abbiano ancora accesso a prodotti che dovrebbero essere loro negati. […] nessuno di quei Paesi vuol rompere con Mosca, principale partner commerciale e alleato, a cui li unisce una unione doganale con libera circolazione dei beni. […]
[…] Prendiamo i dati sull’export italiano: nel 2022 il commercio verso Mosca è sceso da 7,7 a 5,8 miliardi, cioè di un miliardo e 900 milioni di euro, mentre quello verso Armenia, Georgia, Kazakistan e Kirghizistan è salito in totale di mezzo miliardo. Una sostituzione parziale, ma consistente.
E che pare cresciuta nei primi quattro mesi del 2023, come se sempre più aziende scoprissero la via alternativa: a fronte di 204 milioni “persi” verso la Russia, tra gennaio ed aprile il Made in Italy ne ha guadagnati 260 milioni verso quei quattro Paesi. Più complesso è capire se lì dentro ci siano o meno beni sottoposti a sanzioni, e in che misura.
È probabile che la gran parte sia composta da prodotti leciti, deviati per necessità o precauzione, magari perché l’importatore russo non può più pagare in dollari e opera quindi attraverso un partner kirghiso o kazako. La prima voce - quella che aumenta di più - sono i macchinari industriali, fiore all’occhiello del Made in Italy. Una grande famiglia che potrebbe contenere sia tecnologie lecite che altre sanzionate, perché utilizzate in industrie come quella energetica o quella militare. […]
Per le aziende europee vendere a compratori kirghisi o georgiani è lecito. Non sono tenute a sapere dove i loro prodotti finiranno. Ma la situazione potrebbe cambiare se Stati Uniti e Ue inizieranno a sanzionare anche le imprese locali. […] L’alternativa, per l’Occidente, è rassegnarsi al fatto che le sanzioni non mordano come dovrebbero.