GIORGIA MELONI ALLA CONFERENZA STAMPA DI FINE ANNO
1 - TIM E RETE DI STATO IL GOVERNO PREPARA UN PIANO DI INCENTIVI I PROTAGONISTI
Francesco Spini per “la Stampa”
Il governo, peccando di ottimismo, aveva promesso una soluzione già entro fine anno sulla rete nazionale a controllo pubblico per la banda ultra larga. Invece non è ancora il momento degli annunci: servirà più tempo per trovare una complessa quadratura del cerchio.
Alla fine del quarto incontro, in videoconferenza, del tavolo tecnico tra l'esecutivo e i due principali soci di Tim, ossia Vivendi (23,75%) e Cdp (9,8%), si è deciso di «aprire una seconda fase» di discussione, come segnalano fonti a conoscenza della vicenda.
Si tratta da un lato di approfondire «possibili misure incentivanti per il settore», ovvero risorse e strumenti che il governo potrà mettere in campo, dall'altro i soci dovranno «formulare proposte» per «addivenire a una soluzione finale, in un quadro condiviso e sostenibile». Se ne riparlerà a gennaio, dopo l'Epifania. Il tavolo potrà aprirsi anche al management di Tim ma solo su specifiche tematiche e se interpellato.
In mattinata la premier Giorgia Meloni dà l'impressione di voler accelerare sul dossier ribadendo il «duplice obiettivo» da parte dello Stato di «riassumere il controllo della rete» per questioni strategiche e di «lavorare il più possibile per mantenere i livelli occupazionali». Sul «come» arrivarci, Meloni professa «prudenza».
Basta la dichiarazione di intenti per scaldare il titolo in Borsa, dove chiude in rialzo del 2,88% a 22,48 centesimi. Ma per ora tutto è fermo alle ipotesi e restano le divisioni. Di fronte alle difficoltà, francesi (rappresentati al tavolo dagli advisor di Rothschild, con l'ad Alessandro Daffina, il partner Irving Bellotti e Carmen Zizza, oltre che da Daniele Ruvinetti, consulente con una lunga esperienza manageriale nelle tlc) e Cassa (per cui tratta il direttore degli investimenti Francesco Mele, con l'assistenza di Credit Suisse) appaiono fiduciosi come già Arnaud de Puyfontaine, ad di Vivendi, che pochi giorni fa aveva parlato di un clima costruttivo con il governo, presente al tavolo col capo di gabinetto del ministero delle Imprese, Federico Eichberg, il responsabile del dipartimento Trasformazione digitale di Palazzo Chigi, Angelo Borrelli, più un dirigente del Tesoro.
Punti di contatto non mancano: è ormai pacifico che il destino di Tim sia quello di essere divisa tra una NetCo dedicata alla rete e una ServCo vocata ai servizi. Entrambe dovranno essere sostenibili dal punto di vista del debito. Non solo: il governo ragiona su incentivi fiscali, finanziari e regolatori che aumenterebbero il valore di entrambe le entità.
Sono in corso valutazioni sui «rischi-benefici» per un allargamento dei limiti elettromagnetici per le antenne 5G; si pensa a una riduzione dell'Iva ma va trovata la copertura; per sostenere gli investimenti di rete si guarda ai contratti di sviluppo, tra i punti all'ordine del giorno del gruppo di lavoro che, sempre a gennaio, si aprirà con le tlc.
A rendere complessa la soluzione per la rete nazionale, però, restano i nodi irrisolti, a cominciare dalla valutazione. Al tavolo pare che Cdp non abbia calato le carte sul prezzo che sarebbe disposta a pagare (in una possibile cordata con Kkr, il fondo già secondo socio di FiberCop, la rete secondaria di Tim) per rilevare l'infrastruttura dell'ex monopolista, come prevedeva il memorandum lasciato cadere dal governo.
Se le cifre fossero quelle circolate in questi mesi, entro i 19 miliardi di euro, difficilmente convincerebbero Vivendi, che ha fin qui lasciato intendere di puntare ad almeno 31 miliardi. Proprio per superare l'impasse i francesi sono però pronti a favorire lo spin-off della rete con una scissione proporzionale del titolo: così facendo la valutazione la farebbe il mercato. Tutti si ritroverebbero in prima battuta azionisti di entrambe le società, salvo poi dividere con scambi azionari e conguagli cash i pani e i pesci: a Cdp l'influenza rilevante sulla rete, a Vivendi una maggior presa sui servizi. Se ne riparla a gennaio.
GIORGIA MELONI MATTEO RENZI CARLO CALENDA FOTOMONTAGGIO
2 - TELECOM CHIUDE UN ALTRO ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE
Sofia Fraschini per “il Giornale”
Dall'Opa di Draghi, al piano Minerva, fino alla rete unica di Stato. I balletti della politica intorno a Telecom non fanno bene al titolo e quindi ai suoi azionisti, piccoli e grandi (Vivendi è il primo azionista con il 23,75%).
Solo guardando all'ultimo anno - durante il quale le giravolte dei governi sul destino del gruppo sono state molteplici - l'azione Tim ha perso il 50%. E il confronto è impietoso sul lungo termine: negli ultimi cinque anni il titolo ha perso il 70% e se nel 2005 la società valeva 50 oggi si aggira sui 4,4 miliardi.
Guardando solo al recente passato, il gruppo guidato da Pietro Labriola ha vissuto un anno sull'ottovolante. Era il dicembre 2021 quando l'allora premier Mario Draghi sdoganava l'Opa sul gruppo da parte del fondo americano KKR e si garantiva "occupazione, tecnologia, italianità col golden power". Il titolo viaggiava in area 0,3 euro e si spinse per un po' in area 0,5 a ridosso del valore che avrebbero pagato gli americani.
Da allora i corsi del titolo si sono dimezzati. In mezzo, la bagarre.
L'Opa salta per questioni di prezzo e giochi politici, poi Labriola mette in campo la sua proposta: scindere la rete collocandola in una società separata, ma sempre sotto il tetto della casa madre (Netco e Servco).
La Cdp, azionista numero due con il 9,81%, appoggia Labriola, ma in parallelo valuta se scindere la rete all'interno di Tim non affosserà l'altro progetto, quello che le sta più a cuore, cioè la nascita di un nuovo soggetto imprenditoriale che metta insieme l'infrastruttura Tim e quella di Open Fiber posseduta da Vivendi è il primo azionista di Tim con il 23,75% Cassa Depositi e Prestiti è il secondo con il 9,81% Cdp con il fondo Macquarie.
Le idee sono confuse anche al governo: la rete unica piace all'allora ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, ma meno al ministro della Transizione digitale Vittorio Colao. E il titolo ne risente. Poi Draghi lascia spazio al governo Meloni. Sono mesi di stop and go. E alla fine sembra debba prevalere il cosiddetto "piano Minerva" che farebbe entrare lo Stato a monte.
Cdp salirebbe nel capitale di Tim dal 9,81% attuale per un esborso (ipotizzato e massimo fino al 100%) di 5 miliardi. A quel punto, Tim acquisirebbe la quota della stessa Cdp in Open Fiber, stimata in 3 miliardi. Lo farebbe a debito, ma potrebbe finanziare l'acquisizione cedendo la partecipazione in Tim Brasil.
Si torna quindi a parlare di Opa per Tim, ma stavolta da parte di Cdp. Niente accade. Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso Urso e il sottosegretario Butti si danno tempo fino al 31 dicembre per definire il destino dell'infrastruttura in pancia all'azienda: si riparte da Minerva, ma di fatto è ancora un foglio bianco.
Aspettando di capire cosa accadrà, ieri Giorgia Meloni ha ribadito il controllo pubblico della rete e la tutela dei posti di lavoro. Ed è stata un'altra fumata nera l'incontro tra Governo, Cdp e Vivendi. Il governo ha però avviato una "fase due": un tavolo al governo con il management di Tim.
GIORGIA MELONI ALLA CONFERENZA STAMPA DI FINE ANNO
Il nodo resta però il valore di NetCo. Ma Cassa spingerebbe per la vendita di NetCo e sarebbe pronta a valutare l'asset 19 miliardi. Ma i francesi spingono per una scissione proporzionale che porti alla costituzione di due società quotate con gli attuali azionisti e valutano il gruppo 31 miliardi. Nella speranza che qualcosa accada a breve ieri il titolo è salito a Piazza Affari (+2,8%) restando però sempre alla metà del valore di un anno fa.
Resta nei numeri di settore qualche certezza: secondo l'Agcom Tim è il leader di mercato con il 28,5% seguita da Vodafone (27,6%) e Wind Tre (24,2%).
GIORGIA MELONI ALLA CONFERENZA STAMPA DI FINE ANNO