Marcello Zacchè per ''il Giornale''
ROBERTO GUALTIERI GIUSEPPE CONTE
Un'offerta d'acquisto ostile tra due banche italiane non si era mai vista. Entrare nella banca di un altro significa accedere ai segreti di milioni di famiglie ed imprese, scoprire tra affari, potere e politica, carpire verità riservate. E il percorso che ha portato Intesa, in 5 mesi, a conquistare Ubi, ha mostrato cosa significa un'operazione non concordata: una battaglia senza esclusione di colpi, anche proibiti. Da un lato la determinazione del Ceo Carlo Messina, alleato con gli storici rivali di Mediobanca che hanno facilitato l'asse sia con Generali - che per l'occasione ha investito 350 milioni per rilevare il feudo veronese di Cattolica Assicurazioni, azionista e partner di Ubi - sia con Unipol, che ha fornito l'appoggio indispensabile, con Bper, per rilevare gli asset bancari e assicurativi in esubero.
Dall'altro la resistenza organizzata dal management di Ubi, guidato dal suo Ceo Victor Massiah, forte dell'appoggio unanime del cda e del presidente Letizia Moratti, e affiancato dallo studio legale delle grandi partite finanziarie nazionali, quello di Sergio Erede. Ma il loro «sottostante» - fondazioni, grandi imprenditori di Bergamo, Brescia, Varese, la Curia e 135mila soci ereditati dal modello cooperativo di banche popolari e dalle casse di risparmio per lo più lombarde, piemontesi e marchigiane - è rimasto compatto solo all'inizio di questa storia.
Lo scoppio della pandemia (arrivata a Codogno e poi dilagata proprio a Bergamo, tre giorni dopo l'annuncio dell'Opa) ha avuto un ruolo. Ma la svolta reale, quella in grado di spostare definitivamente la bilancia verso Intesa, è arrivata con il verdetto dell'Antitrust, che ha autorizzato l'operazione il 16 luglio scorso. Il giorno dopo Intesa ha aggiunto 57 cent in contanti per ogni azione Ubi, pari a oltre 650 milioni ed è iniziata la frana. Ma questa non è solo la storia della maggiore banca italiana che coglie l'ultima opportunità rimasta per crescere in casa propria. È anche l'operazione che segna i nuovi confini tra la finanza e la nuova politica, tra le banche del futuro e l'economia nazionale post Covid-19.
Per capirlo bisogna riportare il nastro indietro e ricordare che una delle priorità di questo governo, nel campo banche-finanza, è trovare una soluzione a Monte Paschi, banca pubblica che va venduta entro il 2021. Messina e i suoi consiglieri questo lo sanno talmente bene che c'è anche chi sostiene che l'operazione Ubi sia nata per anticipare tutti: meglio un'operazione ostile, dove però si governa il gioco, che non una amichevole con una controparte ingombrante come il governo. Ma a parte questa ipotesi, Intesa-Ubi ha realmente riaperto i giochi. Questo è avvenuto dopo che l'Antitrust ha rivisto la sua iniziale ostilità alla nuova aggregazione bancaria.
Una posizione apparsa in evidente contrasto con le indicazioni di consolidamento del sistema che arrivano da Bce e Bankitalia. Il presidente dell'Autorità per la concorrenza, Roberto Rustichelli, magistrato di grande valore e rigore, è stato nominato un anno fa dai presidenti di Camera e Senato. Ma, napoletano come lui, era l'indicazione di Roberto Fico. E ha svolto in definitiva il ruolo di anello di congiunzione di un'operazione che è diventata di «sistema», avendo dalla sua tutte le autorità italiane, la Bce e la banca più sistemica di tutte.
A valle di tale esito, il M5s trova ora un terreno più facile su cui giocarsi la partita Mps, le cui recenti nomine sono avvenute nell'area presidiata da Riccardo Fraccaro. Tutto in tandem con il Pd, sempre attento a questi dossier, tramite il Mef di Roberto Gualtieri e di Alessandro Rivera, che ha ristrutturato il dicastero e che in asse con la Cdp (con altri dossier come Atlantia o Alitalia) punta a riportare la direzione generale ai fasti di Mario Draghi. Intesa-Ubi è anche tutto questo: la prima operazione di sistema di questa nuova Repubblica.