Ferruccio De Bortoli per “l’Economia – Corriere della Sera”
Il blocco dei licenziamenti, la cui fine ora dipende dall' esaurimento della cassa integrazione, è stato inevitabile. Una misura necessaria. Ma solo in emergenza. Un ulteriore prolungamento del divieto priverebbe le aziende della libertà di riorganizzarsi.
Ciò aggraverebbe le imprese più deboli, mettendo in pericolo un maggior numero di posti di lavoro di quelli che si vorrebbe salvare.
Questo per dire che esistono in economia dei salvagente che possono trasformarsi, al di là delle intenzioni, in piombo letale. Analogo discorso per il cosiddetto decreto Dignità, ovvero la legge 96 del 2018 che ha modificato la disciplina dei contratti di lavoro innovando sul precedente Jobs Act.
Secondo l' allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, avrebbe dovuto «abolire la precarietà», parallelamente alla povertà che sarebbe stata cancellata dal Reddito di cittadinanza. Purtroppo non è accaduta né l' una né l' altra cosa. E non per colpa esclusiva della pandemia. La stretta sui contratti a termine, sulla loro durata (da 36 a 12 mesi) e sulle causali, ha effettivamente prodotto, in un primo momento, un' apprezzabile crescita delle stabilizzazioni. Ma l' effetto positivo si era già esaurito prima che il virus sconvolgesse l' economia nazionale.
Il decreto Agosto ha opportunamente sospeso alcune disposizioni del decreto Dignità. Non c' è l' obbligo della causale per la proroga (una sola) di massimo 12 mesi. Ma la somma dei contratti rinnovati non può superare i 24 mesi. Ciò è possibile fino al 31 dicembre. Da gennaio 2021, senza ulteriori interventi, si tornerà al regime del decreto cosiddetto Dignità. Sostantivo ingombrante. Anche perché sono proprio i contratti a tempo determinato, di somministrazione, di apprendistato ad essere stati falcidiati dalla crisi.
Quelli a tempo indeterminato hanno beneficiato (per ora) del blocco. Ed è legittimo porsi l' interrogativo se la dignità del lavoratore sia rispettata di più, seguendo la lettera della legge, mandandolo a casa, o consentendo proroghe più facili, pur con il rischio di abusi. Il peso delle ristrutturazioni aziendali e di qualche deplorevole furbizia imprenditoriale si è scaricato inevitabilmente in questi mesi sui contratti meno tutelati.
disoccupazione coronavirus disoccupati
Uno studio di Adapt, diretto da Francesco Seghezzi, sul mercato del lavoro nel secondo trimestre dell' anno evidenzia una perdita di 219 mila posti di lavoro a tempo determinato. Soprattutto per i giovani tra i 15 e i 34 anni (3,2%). Marco Bentivogli, ormai ex sindacalista, lo ha ripreso in un articolo su Repubblica che ha fatto molto discutere. Ha bocciato il decreto Dignità su tutta la linea anche per la cosiddetta norma contro le delocalizzazioni. Sempre nel secondo trimestre, in Lombardia, il saldo tra attivazioni e cessazioni di rapporti di lavoro su base annua registra un dato negativo di 70 mila movimenti.
Mentre i contratti a tempo indeterminato sono rimasti pressoché stabili, solo 10 mila in meno, anche per il divieto e per il massiccio ricorso alla cassa integrazione - tra aprile e luglio 454 milioni di ore - lo choc è stato quasi tutto dovuto ai mancati rinnovi di contratti a tempo determinato.
Se ci riferiamo non ai movimenti ma alle teste il saldo negativo lombardo, rispetto al 2019, peggiora ed è negativo per 110 mila unità. «La voragine aperta dalla pandemia nell' economia lombarda - commenta Valeria Negri direttore Centro studi di Assolombarda - è profonda, il recupero finora solo parziale, anche se la reattività del sistema produttivo è, per certi versi, sorprendente».
disoccupazione coronavirus disoccupati
In un' altra grande regione manifatturiera, il Veneto, se ne sono persi un numero equivalente. Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, stima 60 mila contratti a tempo determinato in meno. «Se dovessero poi ripartire i licenziamenti pensiamo a una contrazione di altre 10 mila unità. Rispetto al 2019 ci mancano almeno 55 mila posti di lavoro, circa il 6% di contratti in meno.
Che cosa è accaduto in questi ultimi anni dopo il decreto Dignità? Che il mercato si è polarizzato di più, con una distinzione netta tra alte e basse qualifiche. Per queste ultime si è fatto un maggior ricorso ai contratti a tempo, facilmente sostituibili. E dunque sono quelli che, scoppiata la pandemia, sono stati tagliati con maggiore facilità». Barone è dell' idea che le tipologie contrattuali meno stabili debbano costare di più e che sia del tutto inutile porre troppi limiti ai rinnovi.
ricercatori al lavoro per il vaccino sul coronavirus
Più si sta in azienda e maggiori sono le possibilità di una definitiva stabilizzazione. Anche Seghezzi ritiene che la soluzione potrebbe essere quella di rendere più onerose le scadenze brevi, lasciando perdere quelle lunghe che si trasformano poi di fatto, nella maggior parte dei casi, in contratti a tempo indeterminato. La rigidità nell' uso dei contratti brevi ha fatto perdere diverse opportunità, nell' estate scorsa, soprattutto ai giovani, nei settori più colpiti dalla pandemia come turismo e servizi.
Le stime sulla perdita di occupazione a fine anno sono tutte intorno al milione di posti. La Banca d' Italia parla di 900 mila in meno. Senza contare quello che accadrà quando tornerà la libertà di licenziamento.
L' ufficio studi della Confindustria, diretto da Stefano Manzocchi, aggiornerà nei prossimi giorni le proprie previsioni, meno negative del previsto sul versante occupazionale pur con una caduta del Prodotto interno lordo (Pil) ancora a due cifre.
Secondo Ref, il centro studi diretto da Fedele De Novellis, l' industria italiana mostra in alcuni casi capacità di recupero insospettate, tanto che in alcuni settori la ripresa sarà a V, più forte. Ma nei primi due trimestri dell' anno la richiesta di lavoro da parte delle imprese del settore industriale parlando di ore e non di teste, tenendo conto dunque degli impieghi parziali e del ricorso alla Cassa integrazione, è diminuita del 23% (del 29% il calo del valore aggiunto).
Gli ammortizzatori potrebbero essere ridotti gradualmente, in maniera selettiva (sì per l' industria, ma non per il turismo e i servizi) riducendone così il costo. Oggi il vero impatto sull' occupazione, una volta esaurite le misure d' emergenza, è difficilmente ipotizzabile, ma visto quello che sta accadendo realmente in questi mesi sarà tutt' altro che lieve. Alla disoccupazione è sempre preferibile un contratto a tempo determinato. Ostacolarne oltremodo la stipula, ha qualcosa di vagamente incomprensibile. Anzi di assai poco dignitoso.