Gianluca Paolucci per "la Stampa"
Il prossimo 15 giugno il cda di Mps esaminerà una massiccia riorganizzazione operativa delle funzioni della banca. Un piano articolato e complesso, che La Stampa ha visionato e che sposterà mansioni e riporti di centinaia di persone, dalla prima linea di manager fino agli staff, con la creazione di una serie di «team» di risorse che dovranno cooperare all' interno di singole funzioni operative.
L' operazione, lungamente annunciata, lascia però molte perplessità nei diretti interessati. La domande che più spesso si pongono dalle parti di Rocca Salimbeni è: perché adesso?
Perché adesso che la banca sta per essere venduta, forse smembrata, implementare un piano che richiederà mesi per essere portato a compimento, un piano per di più oneroso per l' istituto e con un amministratore delegato, Guido Bastianini, nominato dal governo precedente e che potrebbe essere messo in discussione da Draghi?
Lasciando da parte i timori di dipendenti e manager - in molti temono di trovarsi «nel posto sbagliato» quando il destino della banca sarà compiuto - il fatto è che cosa sarà di Mps da qui a qualche mese non si sa proprio.
Accantonato il piano di una cessione a Unicredit, perseguito negli ultimi dieci mesi, la soluzione che sta prendendo corpo al Tesoro (azionista di controllo con il 64%) è quella di un vero e proprio smembramento. Con la nascita (o rinascita) di una piccola Mps, radicata in Toscana e nel Centro Italia, controllata dalla Fondazione Mps grazie alle azioni che potrebbe ricevere per la chiusura delle cause intentate dall' Ente senese con una transazione.
È lo «spezzatino», già emerso sulla stampa, con una serie di cessioni mirate di asset che ancora il Monte ha in pancia. Come la piattaforma di Widiba, la banca online del gruppo, che potrebbe interessare a Poste Italiane. O alcune funzioni centrali che potrebbero essere funzionali al piano di Banca del Sud - al momento per la verità congelato - promosso da Mcc intorno alla Popolare di Bari.
Il resto, tutto il resto, sarebbe ceduto a pezzi a vari soggetti bancari: la soluzione «di sistema» insomma, con i principali istituti che si farebbero carico di sportelli, attivi e altri asset della banca.
Su questo piano gravano ovviamente due grandi incognite: cosa vorrà fare il premier Mario Draghi - il dossier non sarebbe ancora arrivato a Palazzo Chigi - e cosa dirà la Ue. Quest' ultimo non proprio un dettaglio.
Stante che la Dg Comp di Bruxelles ha già formalizzato il mancato rispetto degli impegni presi dall' Italia al momento della ricapitalizzazione a carico dello Stato, sarebbero stati proprio i dubbi della Commissione a far accantonare l'ipotesi di aumentare dal 2% al 3% degli attivi la percentuale di Dta da convertire in crediti d' imposta in caso di fusione, misura prevista nelle bozze del dl Sostegni bis e poi scomparsa dal testo finale. Proprio questo mancato aumento del «premio», tra l' altro, avrebbe definitivamente allontanato Andrea Orcel dal dossier Montepaschi. Lasciando al Tesoro ben poche alternative se vuole mantenere l' impegno di vendere entro aprile 2022.