Diego Longhin per “la Repubblica”
Nel 2025 la quota di auto elettriche prodotte in Cina e circolanti in Europa sarà del 18%. Una previsione che si trova nella parte più alta della forchetta degli esperti (+9% il dato minimo).
Ma è una stima attendibile se si considera la voglia di Pechino di aggredire il Vecchio Continente in anticipo rispetto alla scadenza del 2035, quando avverrà il passaggio tra motore tradizionale e batterie. Un'invasione che divide il mondo dell'auto tra chi chiede di frenare l'onda e chi, come il presidente di Federmeccanica, Federico Visentin suggerisce al nuovo governo di lavorare per «portare un produttore cinese a fabbricare in Italia auto elettriche».
Secondo il report di Transport& Environment la colpa è delle ambiguità politiche, di una transizione lenta e dell'attendismo delle case automobilistiche europee.
Elementi che rendono la Cina, dove il mercato elettrico è in ascesa e con target pianificati, più forte. Nella prima metà del 2022 il 5% delle auto che si attaccano alla spina vendute in Europa era di un brand cinese, contro lo 0,4% di tutto il 2019. E nel 2025 una vettura a batteria ogni cinque arriverà dal Paese del Dragone.
Al Salone di Parigi i costruttori, da Renault a Stellantis, hanno denunciato il pericolo di un mercato dominato dalla Cina, invocando regole comuni nella Ue e barriere per fermare l'ondata. La quota di mercato di vetture elettriche di marchi cinesi in Norvegia ha raggiunto già oggi il 12,5%. In Svezia è all'11,1% e nel Regno Unito arriva al 7,6%. Il gruppo Byd vuole entrare in Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Austria e Uk.
Per poi allargarsi ancora. E la società di autonoleggio Sixt ha già firmato un contratto con il colosso per l'acquisto di 100mila auto full electric entro il 2028. Xpeng sta prendendo di mira il mercato svedese e olandese, mentre il Nio Et7 sta per essere lanciato in Nord Europa.
«La Cina ha obiettivi precisi di crescita del suo mercato elettrico domestico: 20% di market share nel 2025 sottolinea Veronica Aneris, direttrice italiana di T&E - con questi ritmi, e con le economie di scala che ne conseguono, i cinesi avranno gioco facile. Se vogliamo che la decarbonizzazione non comporti perdite di posti di lavoro, l'Ue deve darsi target ambiziosi per sostenere le sue industrie verso la mobilità green».
Al Salone di Parigi Michael Shu, a capo della divisione Byd Europa, rispondendo in modo indiretto a chi chiedeva interventi da parte della Ue sui produttori cinesi, ha ricordato che Byd ha una fabbrica di bus in Ungheria e «che una fetta importante della catena di fornitura di tutto il gruppo è proprio in Europa». La politica commerciale di Pechino non è aggressiva e a basso costo. Le vetture hanno prezzi in media superiori ai 50mila euro, fuori dai target degli incentivi all'acquisto di vari Paesi.
È diverso da come si erano comportate le case coreane e giapponesi: «C'è una differenza fondamentale con la Cina nell'industria dell'automobile - spiega Marco Saltalamacchia, vice presidente e ceo del gruppo Koelliker, storico marchio che importa vetture dall'Asia e dalla Cina - in quanto Corea e Giappone hanno dovuto puntare sulla globalità. La Cina punta su se stessa, sulla sua classe media, 250 milioni di persone. Ha una popolazione grande che vuole acquistare cinese. Il prodotto cinese è già globale nei fatti e va bene per l'Europa allo stesso prezzo o a un prezzo maggiore che tiene conto della logistica e dei dazi al 10%».
L'approccio del presidente di Federmeccanica Visentin, pur contestando la scelta a senso unico dell'Europa verso l'elettrico, è pragmatico. Nell'ultima assemblea a Roma ha detto che «servono grandi investimenti e grandi risorse, ma pure grandi "rimorchiatori" che mancano in Italia. O li creiamo in casa o li attraiamo da fuori.
Perché non portiamo un produttore cinese che fa elettriche a basso costo in Italia visto che in Europa non siamo capaci a farle. Cosi creeremo nuovi orizzonti per la nostra economia e il nostro lavoro». Ci sono già aziende europee che hanno sperimentato la "cura cinese", come Volvo controllata da Geely. Dopo 12 anni i risultati sono positivi: «È rinata e non è mai stata svedese come oggi - ha detto Michele Crisi, presidente di Volvo Italia - gli investimenti sono stati ingenti, l'esperienza è positiva. Invasione vuol dire anche competizione».
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