Sissi Bellomo per “Il Sole 24 Ore”
L’India continuerà a comprare petrolio dalla Russia e intende anche aumentare le importazioni di gas liquefatto. A due giorni dall’accelerazione del G7 sul “price cap” e mentre la crisi energetica in Europa diventa sempre più drammatica, New Delhi chiude la porta a ogni forma di collaborazione per boicottare Mosca: «Abbiamo avuto discussioni sul tema col G7 ma le decisioni le prendiamo in base ai nostri interessi nazionali e noi dobbiamo assicurare disponibilità costante di combustibili a prezzi abbordabili», ha dichiarato il ministro indiano Shri Hardeep Singh Puri al convegno inaugurale di Gastech, quest’anno ospitata nei padiglioni dalla Fiera di Milano.
«I governi eletti democraticamente rispondono prima di tutto al loro elettorato – ha rincarato il ministro indiano, titolare del dicastero che si occupa di Oil & Gas – Non voglio intromettermi nelle vicende di altri Paesi, come la Germania, ma il fatto è che se i prezzi dell’energia sono alti non si rischia solo inflazione, ma anche una recessione con la R maiuscola».
ministro indiano Shri Hardeep Singh Puri
La prima giornata di lavori al Gastech è costellata di dichiarazioni di tono ben diverso: a favore della solidarietà tra Paesi, del dialogo tra produttori e consumatori di combustibili, della necessità di moltiplicare gli sforzi per salvare la transizione verde e al tempo stesso la sicurezza energetica. Ma l’indiano Puri ha messo il dito sulla piaga, evidenziando il rischio – sempre più forte – che nella crisi ciascuno pensi a salvare soprattutto se stesso: una tentazione che sale anche all’interno dell’Unione europea, dove non tutti soffrono nella stessa misura l’impatto di uno shock energetico che ogni giorno assume proporzioni più drammatiche.
In circostanze come queste «l’unità della Ue viene messa a dura prova – ha riconosciuto a Gastech il portoghese Joao Galamba, segretario di Stato per l’energia – ma per superare l’inverno abbiamo bisogno di solidarietà non solo nelle intenzioni ma anche nei fatti»
Ieri sui mercati è stata una giornata nerissima, segnata sul fronte dell’energia non solo da un impennata di oltre il 30% dei prezzi del gas, fino a 285 euro/Megawattora al Ttf prima di chiudere in rialzo del 12% a 240 euro: una volatilità ancora una volta estrema, che preoccupa sempre di più gli operatori alle prese con richieste esorbitanti di integrazione dei margini di garanzia.
Anche il carbone – che bruciamo sempre di più per sostituire il gas e che da agosto abbiamo smesso di importare dalla Russia – si è spinto a valutazioni record in Europa, triple rispetto a un anno fa: 345 €/tonnellata per il contratto benchmark, riferito alle consegne nell’area di Amsterdam-Rotterdam-Anversa (Ara).
Intanto il petrolio si è risvegliato (il Brent è di nuovo sopra 95 $/barile) dopo l’inversione di rotta dell’Opec Plus, che è tornata a tagliare la produzione: una sforbiciata simbolica per ora – di soli 100mila barili al giorno, un millesimo dei consumi mondiali – ma che dal punto di vista politico è un segnale pesante, di non disponibilità da parte del gruppo (di cui fa parte anche la Russia) ad alleviare il caro energia.
L’Europa è al centro della bufera, costretta ora a confrontarsi con una chiusura a tempo indefinito del Nord Stream, che riduce le forniture russe a un decimo rispetto all’anno scorso. Il Cremlino ieri ha legato in modo esplicito lo stop del gasdotto alle sanzioni occidentali, ma Bruxelles per il momento non arretra e sembra anzi decisa a un ulteriore giro di vite: la bozza delle proposte di intervento in preparazione per il vertice di venerdì continua, secondo indiscrezioni, a prevedere un tetto al prezzo del gas importato via pipeline.
L’Italia sta meno peggio di altri, come ha ribadito da Gastech anche il ceo di Snam, Stefano Venier, perché Gazprom ci rifornisce via Ucraina e perché ci mancano appena 1,2 miliardi di metri cubi di gas per arrivare all’inverno con gli stoccaggi pieni al 90%.
È chiaro che la situazione è precaria, ma dalle tribolazioni di oggi nascono anche opportunità, ha rimarcato Venier, rilanciando l’idea di trasformare il nostro Paese in un hub del gas: con i nuovi rigassificatori galleggianti «avremo dieci punti di accesso per il combustibile e stiamo lavorando per diventare una porta di accesso per le forniture all’Europa».
Nel frattempo bisogna attendere che passi la bufera. E purtroppo ci vorrà tempo: fino al 2023 e oltre, concordano i panelist. I produttori di gas lamentano la mancanza di chiarezza delle politiche Ue, che frena gli investimenti per sviluppare nuove risorse.
Dal palco della Fiera di Milano l’ha fatto anche Tarek El-Molla, ministro del Petrolio e delle risorse minerarie dell’Egitto, Paese in cui Eni è protagonista: il Cairo ha un ruolo centrale per «sviluppare in modo rapido le risorse di gas del Mediterraneo orientale di cui l'Europa ha bisogno» ma in sede Ue servono «decisioni che sblocchino questo sviluppo», perché «in futuro non ci sarà solo l’idrogeno, anche il gas è parte della transizione». Un punto questo sollevato da molti altri produttori, a cominciare dai rappresentanti di compagnie statunitensi .Usa e Canada sono «pronti a riempire il vuoto lasciato dalla Russia», ha assicurato Ryan Lance, ceo di ConocoPhillips, ma c’è bisogno del «sostegno della politica».
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