Ettore Livini per “Affari & Finanza – la Repubblica”
Le reti tradizionali, generaliste comprese - monopolizzano ancora negli Usa - per la Nielsen - il 64% degli ascolti. Ma stanno perdendo pezzi alla velocità della luce, spiazzate dalle new-entry dello streaming: negli Stati Uniti ci sono più sottoscrizioni dei servizi di video on demand (340 milioni) che abitanti.
La loro quota di mercato oltreoceano è salita dal 20% del 2019 al 26% del 2020 e quest'anno dovrebbe balzare al 33%. Ogni cittadino a stelle e strisce - dice Deloitte - è abbonato in media a quattro operatori. In Europa i clienti di Netflix & C. supereranno quest'anno per la prima volta quelli dei network tradizionali. E anche in Italia - con 13 milioni di sottoscrizioni attivate - l'onda cresce inarrestabile.
La partita dello streaming è appena alle battute iniziali. Vincitori e vinti sono ancora da trovare. Ma una certezza - ammette il maxi studio appena pubblicato dall'Osservatorio europeo degli audiovisivi - c'è già: spazio per i pesci piccoli ce n'è poco.
Il chip di ingresso sul ring del video on demand è altissimo. Per conquistare clienti servono contenuti appetibili. E i contenuti - che siano partite di calcio o film di grido - sono sempre più cari. Netflix, in pole position con i suoi 207 milioni di abbonati (26 aggiunti nei primi sei mesi di pandemia) investirà quest'anno 17 miliardi per produrre serie esclusive da offrire al pubblico. Cifre che Rai, Mediaset, Tf1 e Channel 4, per dire, non si possono nemmeno sognare.
Amazon, che di miliardi ne investe 11, per tagliare i tempi e arricchire il suo catalogo ha comprato per 8,4 miliardi di dollari Mgm con la sua videoteca di 4 mila film, tra cui la serie di James Bond e ha scommesso un miliardo solo per metter in piedi il prequel del Signore degli anelli. AT&T, per evitare di rimanere troppo indietro in questa partita tra giganti, ha mandato a nozze Time-Warner - con i servizi di Hbo - con Discovery.
Di soldi, insomma, ne servono molti. E i protagonisti della guerra dello streaming - con le loro forze e le loro debolezze - sono già chiari. Nel gruppo di testa, quello messo meglio, ci sono i tre "nomi" noti del settore. Netflix, Disney + e, appunto Hbo-Discovery.
Hanno tutti un menù molto ricco e una redditività che consente al business di autofinanziarsi. Netflix ha guadagnato nel primo trimestre di quest' anno 1,7 miliardi. Disney+ - che nel bouquet oltre ai suoi classici ha lo sport di Espn, Hulu e il materiale acquistato da Fox - ha raggiunto nel suo primo anno di vita i 100 milioni di abbonati, l'obiettivo previsto nel 2024.
La decisione di far debuttare (gratis) sui canali Hbo-Max il film Godzilla contro King Kong ha regalato a AT&T il record di abbonamenti a inizio anno. Tutti e tre questi big hanno dimostrato negli ultimi mesi di riuscire ad alzare un po' i prezzi degli abbonamenti senza perdere troppi clienti.
I rivali più pericolosi di questo terzetto sono altrettanto chiari: Apple Tv e Amazon Prime. Sono new-entry senza troppa esperienza, che si occupano in teoria di altro - smartphone ed e-commerce - e non hanno molti contenuti originali in archivio da offrire. Il loro atout però è un altro: i soldi, tantissimi, che hanno in tasca. Più che sufficienti per comprarsi un posto in prima fila in questa sfida. L'acquisto di Mgm, per dire, non è l'unico regalo che Jeff Bezos si è fatto negli ultimi mesi.
disney+, la piattaforma streaming 4
Amazon, infatti, sta facendo man bassa di diritti sportivi in ogni angolo del pianeta: ha comprato alcune delle partite più spettacolari della Nfl, ha messo un piedino in premier League, si è aggiudicata la Ligue 1 francese e ha fatto un pensierino - poi non concretizzato con un'offerta - anche alla Serie A. Contenuti destinati a far lievitare gli utenti di Prime video che oggi sono già quasi 150 milioni.
Apple per ora ha avuto un approccio più timido. Gli analisti però non escludono che possa calare il jolly nei prossimi mesi, magari conquistando qualcuno dei player di seconda fascia, che oggi stanno perdendo un po' di terreno rispetto a Netflix, Disney e Hbo-Discovery, come Cbs-Viacom e Peackock (controllata da Comcast). La pioggia d'oro che arriva dai core business di Cupertino e Amazon consentirà ai due "novellini" dello streaming di sfidare i big anche sul fronte dei prezzi d'abbonamento senza timore di bruciare troppa cassa.
L'Europa, in questa partita è rimasta un po' alla finestra. Il mercato del video on demand è decollato anche da noi, con un giro d'affari passato dai 12,1 milioni del 2010 ai 9,7 miliardi del 2020. I tedeschi hanno già attivato 33 milioni di sottoscrizioni, gli inglesi 31, gli italiani 13.
Il business però è saldamento controllato dai colossi a stelle e strisce: Netflix con 5,5 miliardi di incassi l'anno ha una fetta pari al 55% della torta continentale dello streaming. Amazon è al 19%, Disney è già arrivata attorno al 4% in rapidissima crescita e ha superato Dazn, il primo protagonista made in Europe della partita.
Le pay-tv e quelle generaliste per ora hanno retto abbastanza bene il colpo con un aumento dei clienti - forse grazie anche ai lockdown - nell'anno della pandemia. La pressione però è forte. Il prezzo medio mensile di un abbonamento agli operatori di streaming è di 6,8 euro contro i 22,3 delle tv a pagamento.
Il cord-cutting è in agguato anche da noi, la pubblicità ha iniziato a migrare verso il mondo del video on demand e le pay - se non trovano la ricetta giusta per frenare i nuovi rivali emergenti - rischiano di diventare a medio termine solo una piattaforma per distribuire in un hub accentrato i loro servizi.
Le reti generaliste europee - dice l'European audiovisual observatory - stanno cercando di correre ai ripari in fretta e furia provando a lanciare i loro servizi di video on demand. Ma "è troppo poco e troppo tardi", sostiene il voluminoso studio di Bruxelles. Un modo per difendere la propria nicchia sul mercato locale grazie alle produzioni in-house senza però alcuna possibilità di partecipare davvero al grande business della tv del futuro.