Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
L’affannosa ricerca di risorse imprime un cambiamento di fondo, in Italia, alla tassazione dei redditi da capitale. Pur di ottenere entrate sul 2023, la legge di Bilancio offre a risparmiatori e detentori di patrimoni un’occasione che molti coglieranno al volo: pagare subito tasse quasi dimezzate sui redditi da capitale e mettersi a posto una volta per tutte.
Così la manovra apre varie finestre per una riduzione strutturale del prelievo sulle plusvalenze finanziarie, quasi di ogni tipo, purché il contribuente versi fra giugno e settembre dell’anno prossimo ancora prima di liquidare i suoi averi. Se poi su quelli l’investitore guadagnerà ancora di più in seguito, non dovrà versare nulla: lo Stato cerca gettito all’insegna del «pochi, maledetti e subito».
Tassazione dal 26 al 14%
Le novità sono agli articoli 26 e 27 del disegno di legge ora in Parlamento. All’articolo 26 si allarga a una platea molto più vasta l’opzione di rivalutare la consistenza del proprio patrimonio, pagandovi un’aliquota ridotta al 14%. Non potrà farlo più solo chi possiede società non quotate o terreni edificabili — come fino ad oggi — ma anche chi ha azioni, obbligazioni o altri titoli sui mercati finanziari. In sostanza, entro giugno si aggiusta ciò che si possiede al valore attuale più alto. E non si dovrà più pagare il 26% sui redditi da capitale, quando in seguito l’investimento verrà venduto.
In realtà la legge è scritta in modo così contorto che si presta a interpretazioni diverse. Secondo almeno due grandi tributaristi, il contribuente se la caverà pagando il 14% della consistenza dell’intero patrimonio rivalutato.
Per esempio, chi ha investito 100 mila euro in titoli Tesla nel 2019 ha, oggi, un valore dell’investimento da circa 1.400 euro; e si metterebbe a posto pagando il 14% di quest’ultima somma.
La Banca d’Italia ha dato al Parlamento una lettura più generosa: si regolano tutti i conti con il fisco pagando il 14% solo sul guadagno realizzato, non sul totale del valore posseduto.
Versamenti entro settembre
Vince invece senz’altro l’interpretazione generosa per l’articolo 27. Lì si stabilisce una novità che taglia le tasse per chi ha redditi da capitale: coloro che detengono risparmi e patrimoni nei fondi o in certe polizze assicurative assolvono a ogni richiesta del fisco, presente o futura, pagando il 14% — non più il 26% previsto dalla legge — su quanto guadagnato con l’investimento fatto.
La sola condizione è che si versi tutto entro settembre, anche senza vendere le quote proprie di fondi o i titoli in portafoglio. L’obiettivo del governo è appunto raccogliere soldi subito: la Ragioneria stima più di un miliardo di entrate dall’articolo 26 e quasi mezzo miliardo dal 27.
Ma un effetto delle misure è quello di dimezzare o quasi le tasse su chi ha redditi da capitale, benché questi ultimi siano già tassati molto meno dei redditi da lavoro. L’impatto sarà massiccio perché, secondo l’Istat, in Italia nei fondi comuni sono investiti circa 700 miliardi di euro e circa 1.200 miliardi in polizze assicurative.
Ci guadagna chi ha di più
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Ma sarà uno sgravio fiscale asimmetrico, in gran parte di fatto a favore di chi ha di più. Simone Pellegrino dell’Università di Torino stima che la metà più povera della popolazione in Italia oggi detiene il 2,5% dei patrimoni, mentre il 10% più ricco ha il 56% di essi. Dunque saranno i più ricchi a beneficiare di più di queste norme. Intanto la spesa per il reddito di cittadinanza, riservato al decimo più povero della popolazione, viene tagliata di 700 milioni nel 2023 e di un miliardo dagli anni seguenti. Tutto il reddito di cittadinanza del resto rimane sganciato dall’inflazione, dunque non si adegua nemmeno in parte all’aumento dei prezzi: in termini reali l’assegno medio cala di ben oltre il 10%. In tutto questo, la legge di bilancio non aiuta certo a ridurre le diseguaglianze in Italia.