Estratto dell‘articolo di L. Mon., G. Pao. per "la Stampa"
Sarà l'autunno caldo delle privatizzazioni. L'operazione pronta a scattare riguarda Poste, con il governo che metterà sul mercato un altra quota del 14% come previsto dall'ultimo decreto. Lo Stato rimarrà comunque il primo azionista, mantenendo tra Tesoro e Cassa depositi e prestiti il 50% della società. Il collocamento partirà lunedì 21 ottobre e si dovrebbe concludere giovedì 24. [...]
Di questo 14%, spiega una fonte ministeriale vicina al dossier, il 35% dovrebbe essere riservata ai risparmiatori e all'interno di questa soglia una parte verrebbe destinato ai dipendenti di Poste. Il restante 65% potrà essere prenotato dagli investitori istituzionali.
MATTEO DEL FANTE POSTE ITALIANE
L'incasso atteso, parametrato sui valori di mercato attuali, dovrebbe raggiungere i 2,3 miliardi di euro, soldi che quindi si andrebbero ad aggiungere ai 3 miliardi raccolti quest'anno con la cessione di una quota di Eni e del Monte dei Paschi di Siena. Si tratta di risorse che non potranno essere utilizzate a copertura delle misure della manovra, ma andranno direttamente alla riduzione del debito.
L'obiettivo delle privatizzazioni indicato dall'esecutivo nel triennio 2024-2026 si aggira intorno ai 20 miliardi di euro, l'1% di Pil. A questi 5,5 miliardi di euro si potrebbe sommare la dismissione di un'altra quota di Mps, annunciata dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti.
Il Tesoro controlla ancora il 26,7% della banca senese, ma sul mercato dovrebbe finire un altro pacchetto di azioni del 10%, la decisione non è ancora stata presa. Di sicuro il Mef vuole scendere sotto il 20% del capitale dell'istituto di credito. Ma nella maggioranza la questione della banca senese è ancora oggetto di dibattito.
L'impegno preso con Bruxelles prevede di uscire dal capitale entro la fine dell'anno. O meglio, di restare con una quota limitata a qualche punto percentuale, senza alcuna velleità di governance. All'interno della compagine governativa non manca però chi spera di restare con un piede a Siena, in grado di indirizzare le scelte sulla governance.
LUIGI LOVAGLIO MONTE DEI PASCHI DI SIENA
Mentre Forza Italia, con Antonio Tajani, ha chiarito di ritenere necessario l'uscita completa. Se passasse questa linea, nelle casse dello Stato entrerebbero 1,5 miliardi di euro ma prima serve di dotare l'istituto di uno zoccolo duro di azionisti che la momento non c'è ancora.
L'unico che si è fatto avanti, anche pubblicamente, è Carlo Cimbri. Il numero uno di Unipol ha chiarito di essere interessato alla distribuzione dei prodotti assicurativi tramite la rete di Mps, che potrebbe arrivare fino al 10% del capitale e di non essere interessato alla governance.
Il socio perfetto, se non fosse che a Roma le coop rosse azioniste della compagnia bolognese non sono proprio popolari, di questi tempi. Inoltre, accanto a Unipol servirebbe un altro soggetto, magari impreditoriale, interessato a diversificare i propri investimenti puntando alcune centinaia di milioni sulla rinascita della banca più antica del Mondo.
L'unica alternativa a Unipol è ancora Banco Bpm, che finora ha sempre risposto «no» ai ripetuti richiami e sollecitazioni arrivate da Roma - sponda leghista - all'ad Giuseppe Castagna. La mossa di Unicredit ha però cambiato lo scenario e il Banco potrebbe rivedere le sue scelte per evitare di finire preda di qualche concorrente, magari francese.
giorgia meloni e giancarlo giorgetti 4
Difficile però che tutti i nodi vengano sciolti nelle prossime settimane. Più facile invece che la vendita del Tesoro si fermi almeno per ora al 10%.
Entro fine anno, dunque, con la cessione di un'altra tranche di Mps che potrebbe valere ai prezzi attuali circa 600 milioni, il governo potrebbe incassare complessivamente oltre 6 miliardi, mettendo insieme tutte le operazioni effettuate nel 2024. Sarebbe così completato, per il primo anno, il target delle privatizzazioni da qui al 2026, che vedrebbe nel prossimo biennio cessioni nell'ordine di poco più di 6 miliardi l'anno. [...]
MONTE DEI PASCHI DI SIENA CARLO CIMBRI
QUANDO GIORGIA MELONI NEL 2018 SI OPPONEVA ALLA PRIVATIZZAZIONE DI POSTE ITALIANE