Estratto dell’articolo di Andrea Greco per “la Repubblica”
Il settimo rialzo dei tassi Bce si riflette sui rendimenti di mercato. In teoria, i 25 punti base che portano al 3,75% il costo dell’euro alzano in modo lineare i rendimenti del reddito fisso; vale in prospettiva anche per i capitali azionari. Sarebbe il caso di investire: anche perché l’inflazione erode le giacenze a un ritmo dell’8,3% annuo (circa 115 miliardi). Ma l’Italia dei correntisti è in costante quiete. A febbraio Bankitalia censiva 1.384 miliardi di euro di liquidità inerme – circa 800 delle famiglie – che le banche a marzo remuneravano lo 0,26% medio, impiegandoli al 3,81%. L’indolenza è nel dna dell’investitore nostrano, e questi mesi di volatilità e turbolenze non incoraggiano.
Ciò che gli operatori notano sono, invece, piccoli transiti della liquidità, dai conti inerti a forme di parcheggio più redditizie. Titoli del Tesoro, bond, fondi monetari, conti di deposito tornano di moda: grazie a rendimenti ormai dal 3 al 5%. Professionisti e consulenti esortano ad allungare gli orizzonti temporali e integrare con le azioni le varie forme di esposizione al reddito fisso: anche con gradualità. Ma alle parole seguono pochi fatti: nel primo trimestre 2023 la raccolta Assogestioni ha perso quasi 9 miliardi, benché l’azionario segni flussi per 5,4 miliardi.
Da gennaio circa 10 miliardi sono stati investiti dagli italiani nei Btp, dato che i decennali rendono ormai il 4,2%, e pagano meno tasse (il 12,5%, contro il 26% di fondi comuni, azioni, bond e conti di deposito). Il rischio Italia è percepito come nullo dagli italiani, a torto o a ragione: e sono richiesti anche i bond delle grandi aziende italiane, come Eni che a gennaio ha fatto il pieno con 4,3% di tasso fisso a 5 anni. […]