Estratto da F. Sp per "la Stampa"
Sulla rete Tim è sceso il gelo tra il fondo Kkr, che offre circa 18 miliardi, e la Cdp che il governo avrebbe visto bene al suo fianco nel ruolo di azionista pubblico. Il nodo però si è rivelato nell'alea relativa all'Antitrust Ue, visto che Cassa ha il 60% anche del principale concorrente di Tim nella rete, ossia Open Fiber. Il problema è che nella sua proposta, Kkr – sapendo di esserne scevro – si è assunto il rischio relativo alle questioni concorrenziali. Per stringere patti con Cdp ha richiesto al braccio finanziario del Tesoro – fin dalla riunione che c'è stata a Palazzo Chigi 8 giorni fa – di fare altrettanto.
Ma, essendo il rischio per Cassa ben diverso, su tali impegni Kkr non avrebbe ricevuto risposta. Di qui lo stallo.
Cresce anche lo scetticismo sulla possibilità che Cdp rientri in gioco con un'offerta alternativa a cui pure starebbe lavorando. Da un lato perché i temi antitrust e aiuti di Stato mettono il governo sul chi va là, essendo i fondi Pnrr subordinati al rispetto delle regole. Dall'altro per un tema di valutazioni.
Stando alle cifre fin qui circolate, pur rimodulando i valori, Cdp non si spingerebbe molto oltre Kkr. Il cda di Tim si ritroverebbe a scegliere tra l'offerta del fondo Usa, già giudicata bassa (nel board valutano la rete circa il 40% in più ma dagli americani si attendono un rilancio non superiore al 10%) nonché ricca di condizioni giudicate irricevibili, e quella di Cdp, simile ma accompagnata da pesanti rischi regolatori.
Un'impasse che peraltro non tiene conto di due potenziali veti incrociati. La francese Vivendi ritiene che la rete valga almeno 31 miliardi e col 24% ha potere interdittivo in un'assemblea straordinaria. Kkr deriva la sua facoltà di veto dai favorevoli contratti con cui due anni fa ha acquisito il 37,5% di FiberCop (la rete secondaria di Tim), che sarà parte di NetCo.
PIETRO LABRIOLA dario scannapieco