Rita Fatiguso per “Il Sole 24 Ore”
Se in Cina iniziano a saltare le Fiere e non solo un Forum finanziario, per quanto importante, come quello di Lijazui, è un brutto segnale per l’economia. Il Ciff di Shanghai, Fiera top della meccanica, di grande importanza per Paesi esportatori verso la Cina come l’Italia, slitta a causa del Covid-19.
Ci si consola pensando che non sarà l’unica Fiera a non aprire ma la fobìa del ritorno del lockdown da Covid-19 “alla cinese” ha ormai già colpito. Quaranta milioni di abitanti di Shenzhen e Chengdu sono blindati, anzi la capitale del Sichuan ha annunciato un allargamento del perimetro della sua zona rossa.
Quasi tutte le province cinesi hanno registrato casi positivi, la tolleranza zero non si discute, è a tutto campo, ed è l’unica risposta possibile, perché nulla può disturbare il Congresso del Partito Comunista cinese in calendario il 16 ottobre a Pechino.
Dal canto loro banche d’affari e investitori, l’intero mondo delle imprese internazionali, cerca di testare lo stato di salute del Paese con gli elementi, spesso pochi e confusi, a disposizione. Un fattore, però, non lascia adito a equivoci, ed è il rallentamento della formidabile macchina dell’import export, le esportazioni in dollari Usa sono aumentate solo del 7,1% ad agosto rispetto all’anno precedente, a 314,9 miliardi di dollari, molto al di sotto della media delle previsioni del sondaggio di Bloomberg tra gli analisti che ipotizzavano un rialzo del 13%. Le importazioni sono cresciute solo dello 0,3%, con un surplus commerciale ad agosto di 79,4 miliardi di dollari.
Il rallentamento cinese si sta diffondendo nel mondo, con i deboli dati sulle importazioni, tutte cattive notizie per i principali produttori di materie prime come Australia e Brasile. Anche i principali produttori di manufatti, come Germania e Corea del Sud, stanno registrando una domanda più debole dalla Cina.
Allo stesso tempo, la domanda globale di beni cinesi sta diminuendo poiché i consumatori riducono la spesa a causa dell’aumento dell’inflazione e si spostano dai beni legati alla pandemia ai servizi. Anche le fabbriche in Europa e nel resto dell’Asia stanno riducendo la produzione.
«La crescita delle esportazioni cinesi si sta ritirando ai suoi livelli più normali dopo due anni di crescita eccezionale - commenta Lu Ting, capo economista cinese di Nomura. Un surplus commerciale minore peserà sulla valuta, che è crollata ed è vicina al tetto dei 7 yuan per dollaro». Secondo Macquarie circa la metà della crescita principale delle esportazioni di luglio è legata agli effetti sui prezzi.
Le esportazioni nette nel 2021 hanno però rappresentato circa un quinto della crescita del prodotto interno lordo cinese. Gli economisti prevedono che il Pil atteso del 5,5% nel 2022 scenderà al 3,5% anzi al 3% secondo l’ufficio studi di Natixis, guidati da Alicia Garcia Herrero.
In sintesi: la politica fiscale cinese non ha ancora molti margini di manovra, quella monetaria vede la Banca centrale in un vicolo cieco, perché ha bisogno di tagliare ancora i tassi, ma deve affrontare troppi vincoli politici per farlo e, soprattutto, il timore di creare una voragine nei rendimenti.
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