Carlotta Scozzari per “la Repubblica”
Sull'economia europea soffiano, sempre più forti, venti di recessione. Gli ultimi indizi sono arrivati ieri mattina dagli indicatori Pmi (purchasing managers' index) che, a partire dalle interviste ai responsabili degli acquisti delle aziende, restituiscono il clima di fiducia e le previsioni economiche del mondo dell'industria.
A luglio, il dato preliminare sul Pmi "composito" della produzione nell'area euro, elaborato da S&P Global, non soltanto ha toccato i minimi dei 17 mesi, portandosi a 49,4 punti da 52 di giugno, ma è sceso sotto 50, la soglia spartiacque tra economia in crescita e in arretramento. Sempre più lontano da 50 punti, poi, il Pmi della produzione manifatturiera, piombato a 46,1, minimo da maggio del 2020.
La fotografia scattata dagli indicatori Pmi, evidenzia S&P Global, rispecchia «una contrazione dell'economia dell'Eurozona, con produzione e nuovi ordini entrambi in calo per la prima volta dalle chiusure anti Covid-19 di inizio 2021. La flessione accelerata del manifatturiero si è accompagnata a uno stallo dei servizi, poiché l'aumento del costo della vita ha continuato a erodere la benefica spinta della domanda repressa durante il periodo pandemico».
Il quadro, già sconfortante, è aggravato «dalle preoccupazioni sull'energia, gli approvvigionamenti e l'inflazione, che spingono al ribasso le aspettative, causando inoltre una consistente riduzione degli acquisti e una marcia indietro sulle assunzioni ». Anche in Italia, rileva il monitoraggio di Bankitalia, Anpal e ministero del Lavoro, la creazione di nuovi posti sta rallentando: nei primi sei mesi del 2022 sono stati 230 mila, un dato positivo, ma in flessione nei mesi di maggio e giugno.
Per l'economista di S&P Global, Chris Williamson, «la più grande preoccupazione è il settore manifatturiero, dove i produttori segnalano che le vendite inferiori a quelle previste hanno causato un accumulo senza precedenti di merci invendute ». «La combinazione di ingenti scorte e ordini in calo è sinonimo di guai in vista», predice l'economista di Unicredit, Tullia Bucco.
Anche il consueto sondaggio trimestrale della Bce, condotto tra 56 esperti, restituisce un quadro critico per il 2022, con stime di crescita del Pil reale dell'area dell'euro in discesa al 2,8 dal 2,9% e un'inflazione in aumento dal 6 al 7,3 per cento. Appena due giorni fa, la Banca centrale europea ha annunciato un rialzo dei tassi di interesse di 50 punti base, il doppio di quanto atteso dalla maggior parte degli economisti.
La mossa si spiega con l'obiettivo di ridurre un'inflazione galoppante, seguendo quella che da sempre è la stella polare di Francoforte, ma presenta la controindicazione di proiettare ulteriori ombre sull'andamento dell'economia.
Di più: la presidente Christine Lagarde, nel motivare la decisione "forte" sui tassi, ha menzionato anche la debolezza dell'euro nei confronti del dollaro (il cambio di recente è addirittura sceso sotto la parità, sui minimi da venti anni). Una novità assoluta che conferma che le Banche centrali sono entrate in una nuova era che gli esperti definiscono "di guerra inversa delle valute". In altri termini, a una moneta debole, che stimola l'economia tramite le esportazioni, si preferisce una valuta forte, al fine di domare l'inflazione attraverso il canale delle importazioni.