Estratto dell'articolo di Camilla Conti per “La Verità”
Lo scorso 12 maggio il presidente e l’ad di Dri (la controllata da Invitalia nata per decarbonizzare l’acciaio), Franco Bernabè e Stefano Cao, hanno inviato una lettera a quattro ministri (Raffaele Fitto, Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin) e per conoscenza anche all’ad di Invitalia (socio di minoranza in Acciaierie d’Italia), Bernardo Mattarella.
Nella missiva, di cui ha scritto La Verità il 23 maggio, veniva fatto un aggiornamento sullo stato di avanzamento del progetto dell’impianto di produzione di preridotto da realizzarsi nel complesso industriale della ex Ilva gestito da Adi a Taranto. Ma la parte più interessante si leggeva nelle ultime righe: «Le diversità di assetto azionario tra Dri d’Italia e Acciaierie d’Italia (quale partner industriale e commerciale interessato dall’obiettivo di decarbonizzare dei siti e dei processi produttivi siderurgici che la realizzazione dell’impianto affidato all’attuazione di Dri d’Italia) comportano oggettive difficoltà nel coordinamento tra rispettivi piani industriali, per la cui risoluzione risulta indispensabile un attivo dialogo tra azionista pubblico e privato».
Insomma, si chiedeva al governo di cambiare la governance societario e risolvere la questione delle quote di Adi che lo Stato, tramite Invitalia, dovrebbe rilevare. Il fatto è che Bernabè, che firmava la lettera, è sia presidente di Dri sia di Adi. Dettaglio già discutibile a monte considerando che gli affari delle due società sono assai intrecciati.
È ancor più curioso che in veste di presidente di Dri, e quindi di una società controllata al 100% da Invitalia e dunque dallo Stato, scriva ai ministri e ad Invitalia per sottolineare le difficoltà di coordinamento con Adi, società della quale è presidente ma le cui quote sono ancora in maggioranza in mano al socio privato, ArcelorMittal Italia, cui spetta la scelta dell’amministratore delegato, ovvero del timone operativo oggi affidato a Lucia Morselli.
Quest’ultima ieri ha scritto, insieme al direttore degli affari legali della società, una missiva a Bernabè e Cao, ai commissari di Ilva spa e per conoscenza ai vertici di Invitalia, al Mimit, al ministro Raffaele Fitto. Il riferimento è all’affermazione fatta da Dri secondo cui il progetto risulta fondamentale per la decarbonizzazione del sito di Taranto e perciò richiede «una stretta collaborazione tecnico-logistica tra tutti gli attori a vario titolo coinvolti nella realizzazione dell’opera». Ebbene, la risposta di Morselli è aspra.
«Rileviamo come Dri si smentisca nei fatti continuando pervicacemente a rifiutarsi di condividere con Adi la propria relazione tecnica sul progetto, nonostante l’abbia da tempo trasmessa a Ilva». E ancora: «Drie Ilva sono assistite dallo stesso studio legale proprio in relazione al progetto, nonostante queste abbiano palesemente interessi distinti per non dire opposti, come ad esempio sul delicato tema delle responsabilità ambientali.
Ciò è tutt’altro che indifferente per Adi, essendo essa coinvolta in un rapporto negoziale trilaterale, in cui le altre due parti non si limitano a condividere gli stessi legali, ma escludono Adi dalla condivisione di documenti e interlocuzioni essenziali, come dimostrato dalla richiamata circostanza che Dri ha trasmesso la propria relazione tecnica sul Progetto ad Ilva in amministrazione straordinaria ma non a Adi, il gestore dello stabilimento di Taranto e destinatario della produzione dell’impianto Drp» (Direct reduction plant).
Si sottolinea, infine, che la lettera è stata spedita anche a Bernabé, «stante il suo duplice ruolo di presidente di Dri e della nostra controllante Adi holding». Adesso è Morselli che passa al contrattacco e «accusa» la parte pubblica di giocare a carte coperte.
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