Federico Ercole per Dagospia
Blasphemous, lo si intuisce dal titolo, non è il gioco per le feste imminenti. A meno che, come Phoebe Cates in Gremlins, non amiate il Natale, Black Christmas di Bob Clark sia il vostro film preferito e quando vedete un albero decorato vi ricordiate della vecchia canzone dei Vandals a proposito.
Blasphemous, per PS4, Xbox One, PC e Nintendo Switch non è neanche il videogame del momento, poiché è uscito quasi inosservato e troppo trascurato dalla critica durante un settembre straripante di titoli, alcuni di innegabile valore e altri solo il frutto di marketing intenso.
Ma, scoprendo colpevolmente in ritardo quest’opera “blasfema” e punitiva degli spagnoli The Game Kitchen, già autori dello sperimentale The Last Door e nata come progetto su Kickstarter, è doveroso raccontarla ai nostri lettori, perché si tratta di una delle esperienze ludica ed estetica appagante e coinvolgente, oltre che un’opera indipendente e piccola che illumina del suo terrificante lucore il panorama del videogioco europeo.
Blasphemous è un videogame appartenente al sottogenere d’avventura e azione nominato “metroidvania”, orribile ma esplicativo neologismo che inquadra tuttavia con efficacia l’opera in questione nella sua dimensione giocosa derivata dai classici in due dimensioni a scorrimento come i Metroid e i Castlevania dell’era a 16 e 32 bit. Il videogame in questione, inserendosi nel filone dei più recenti e altrettanto “indie” Salt and Sanctuary e Hollow Knight, si appropria inoltre di alcune meccaniche estrapolate dai lavori di Hidetaka Miyazaki, quindi Dark Souls e Bloodborne, captando da quest’ultimo anche parte della sua grandguignolesca gloria ematica.
IL MISTICISMO DEL DOLORE
L’arte dei pochi ma ispirati pixel di Blasphemous ci riporta all’iconografia cristiana più spaventosa, soprattutto quella dei monaci supplizianti e della santa inquisizione, un misticismo laddove l’estasi e il perdono passano attraverso la punizione e il perdono si ottiene con il sangue e la sofferenza.
L’ambientazione è fantasy, ma sono evidenti le allusioni alla storia, e ci racconta di Custodia, regno fondato sulla religione laddove un dio infine si rivela, producendo abominazioni miracolose. Controlliamo l’ultimo cavaliere della Fratellanza del Dolore Silenzioso, armato di Mea Culpa, prodigioso spadone, e difeso da un alto elmo conico che sembra la lunga punta di un chiodo, allusione a quelli che causarono le stigmate di Cristo.
Cominciamo il nostro pellegrinaggio proprio all’interno del monastero della Fratellanza, dove sono ammucchiati decine di cadaveri di cavalieri, e lo proseguiamo attraverso foreste, monti algidi, vetusti sotterranei, gloriose città decadute. Incontriamo ed eliminiamo orride variazioni cenobitiche di “peccatori” distorti in immagini terrificanti che sembrano uscite dalla fantasia mostruosa del migliore Clive Barker: uomini che si feriscono con croci d’acciaio e le scagliano come boomerang, donne piegate dallo sforzo di trasportare grandi icone pagane, assassini che si flagellano con un gatto a nove code prima di colpirci con la stessa frusta, esseri nerboruti resi ciechi e ottusi dalla campana che ricopre loro testa e busto.
Questa umanità afflitta compone un bestiario straordinario sebbene avvilente, alimentato dalla macabra poesia con il quale sono disegnati i grandi e micidiali “boss” come la Nostra Signora dal Viso Deturpato o il demone Ten Pietad, che cola giù disgustoso dalle braccia di una statua della maternità. Purtroppo non c’è nel gioco un elenco e una descrizione dei nemici e dei personaggi, ma ogni oggetto racconta la sua storia che ci fa approfondire con un’alta, tetra lirica la cornice narrativa di Blasphemous.
LA DIFFICOLTA’ DELLA PENITENZA
Blasphemous è un’avventura orribile ed esaltante, tuttavia è un gioco difficile, inserendosi nel filone inventato da Hidetaka Miyazaki, un’opera per adulti non solo per la complessità ma per i contenuti, sebbene la pixel-art mitighi in qualche modo l’orrore.
Si “muore” molto, dovendo imparare a memoria la modalità di attacco dei nemici se non vogliamo che ci massacrino, e soprattutto eseguendo delle serie di salti in stile “platform” talvolta davvero ostici.
Ci sono pochi punti di salvataggio, nella forma di inginocchiatoi per la preghiera, e quando ci “estinguiamo” cominciamo dall’ultimo di questi che abbiamo visitato. Tortuosa è la salita di livello, fondata solo sugli oggetti e non sui punti esperienza accumulati, utili invece per acquistare nuove reliquie dai poteri particolari. Ma tortuosa è anche la via del Penitente nella cui armatura giochiamo, quindi c’è una notevole coincidenza tra forma e sostanza.
Ci possono volere anche più di trenta ore per finire il gioco (c’è chi dice una decina, ma o è un campione della penitenza, oppure ha corso per tutto il gioco perdendosi la sua atmosfera e i suoi segreti) e, sebbene quanto ho scritto possa indurvi a chiedere perché intraprendere questo supplizio, si tratta invece di tempo ludico mai sprecato, vettore di visioni allucinanti d’arte spaventosa, di attimi di trionfo e scoperta.
A patto di apprezzare il genere di appartenenza, ovviamente, in questo caso non dimenticherete Blasphemous e potrebbe rivelarsi una delle migliori e meno scontate esperienze di quest’anno che almeno sotto il profilo videogiocoso è stato strepitoso. Attenti però a non giocarlo in compagnia di una famiglia festosa la vigilia di Natale, dopo l’ennesima “morte” il rischio di un’imprecazione blasfema potrebbe inimicarvi a vita la suocera devota.