Federico Ercole per Dagospia
Lo spazio continua ad essere l’ultima frontiera, perché non ne ha. Finché non vi arriva l’uomo, almeno secondo tanta fantascienza, per porvi i suoi limiti, amministrarlo, quantificarlo secondo le leggi dell’economia. Tuttavia lo spazio è ancora sogno, soprattutto quello più remoto e sconosciuto, sistemi planetari che potrebbero ospitare la vita o il segreto ultimo dell’esistenza. E la fantascienza è il sogno ultimo del videogioco, territorio virtuale che oltre il cinema e la letteratura ci consente di viaggiare restando immoti “dove nessun uomo è mai giunto prima”.
Così ecco una nuova spedizione per Playstation 4, Xbox One e PC oltre i mondi conosciuti, ovvero Journey to the Savage Planet, videogame non colossale per investimenti ma più ispirato di tante gelide super-produzioni, sviluppato da Typhoon Studios e distribuito da 505 Games, sempre più motore di esperienze elettroniche non banali e diverse dagli standard imposti dalla grande industria.
Siamo nelle regioni di una fantascienza davvero spinta nell’invenzione favolosa ma soffusa di ironia, umorismo, riflessioni sull’oggi e critica sociale, quella di Fredric Brown o Robert Sheckley, laddove la speculazione tecnologica, seppure presente, è subordinata al racconto dell’umano. Journey to the Savage Planet è dunque un gioco esilarante, quasi lisergico nella sua sovrabbondanza di forme e colori extraterrestri, un’epopea in un mondo remoto che ci fa ridere in maniera spietata su ciò che vi è di più bieco nell’essere umano consumatore, capitalista e colonizzatore;
un videogame che spoetizza l’epica dell’esplorazione di un pianeta sconosciuto e nel contempo risulta poetico proprio per il suo tono di commedia che, massimo pregio dell’opera di Typhoon Studios, non erode il senso della scoperta, la percezione dell’avventura, il gusto di giocare. Non ci sentiremo mai soli e disperati in un altrove alieno come in quel capolavoro che è Metroid Prime, al quale Journey to the Savage Planet sembra talvolta ispirarsi, tuttavia anche qui percepiremo ansia e smarrimento, inebriandoci di nuovi panorami. Tra una risata spesso amara e un’altra.
OPERAI DELL’IGNOTO
Attraverso la visuale in soggettiva di un disgraziato indebitato a vita cominciamo la nostra avventura all’interno di una navicella spaziale, mentre uno schermo ci bombarda di spot allucinanti, piccole perle filmiche dell’assurdo che possiamo poi riguardare con calma, ogni volta che ci pare, nell’archivio del computer di bordo.
Alcune di queste pubblicità, come quella di un “bambolotto” senziente fatto di scarti di carne per diventare il “tuo migliore” amico, quella dell’orrenda poltiglia proteica viola o del mini-supermercato con piccoli umani viventi che si scannano durante il Black Friday, sono spassose quanto inquietanti. Caliamo sul pianeta destinato alla colonizzazione scoprendo che non è proprio del tutto selvaggio, in quanto nelle sue regioni superiori ci sono le vestigia di una civiltà.
Quindi eccoci a esplorare e scansionare creature bizzarre talvolta inoffensive ma che blastiamo per ricavarne elementi utili, misteriose strutture architettoniche, vegetali e leghe metalliche utili per potenziare la nostra tuta spaziale. Solo ampliando il parco di gadget a nostra disposizione potremo proseguire in un’esplorazione che risulta sempre appagante, in grado di regalare sorprese e brividi quando raramente dovremo davvero impegnarci in qualche combattimento con mostri ostili.
I panorami del pianeta AR-Y 26 sono lussureggianti e vari, offrendo diversi biomi con la loro fauna, flora e caratteristiche climatiche, così che non c’è noia e fermarsi ad osservare gli orizzonti favorisce quella quiete necessaria per amplificare l’immersione nella psiche di questo prode operaio dello spazio, sfruttato e a sua volta sfruttatore. Può capitare di morire, sebbene il gioco sia raramente punitivo, ma siamo ricreati all’istante all’interno della navicella, pronti a teletrasportarci di nuovo sul pianeta.
Per potenziare il nostro vigore e la salute ci nutriamo di giallognole gelatine disseminate in maniera più o meno visibile nel territorio, alcun di esse celate in modo da favorire la risoluzione di enigmi ambientali.
Trattandosi di un’opera piccola (ma dall’indubbia grandezza) è possibile non essere del tutto convinti da alcune dinamiche ludiche, perché talvolta l’attività di sparare contro alcune creature risulta problematica, il saltare pericoloso e in una decina di ore si arriva ad un finale che è tutt’altro che potente, ma il viaggio risulta lo stesso convincente, goliardico persino laddove penetra nei reami di un mistero cosmico.
Ma è necessario godere del gioco con lentezza, leggere le mail inviateci e le descrizioni delle creature, guardare con attenzione ogni video e rilassarsi nella contemplazione, quando possibile, per godere appieno di un’esperienza grottesca quanto profondamente fantascientifica. Si può giocare anche cooperando con un altro operaio dello spazio, cosa spassosa ma c’è chi può preferire vagare sempre solo, distratto ed esilarato dai commenti di un’intelligenza artificiale spesso utili ma sempre comici e dai suoni di un mondo alieno: pigolii, ruggiti e cacofonie ributtanti.
LA CRUDELTÀ DELLA CONQUISTA
Nella sua bizzarria Journey to the Savage Planet può risultare anche crudele, disturbante in una maniera liberatoria, come quando facciamo divorare da un rampicante ad elica gli strambi e teneri “polli” innocui che vagano un po’ ovunque, vedendoli trasformati sotto i nostri occhi in esplosive marmellate verdi acido. Altro che Monster Hunter (criticato per il suo presunto sadismo contro mostracci immani e micidiali), qui si che dispiace vedere queste bestiole estinguersi, mentre inevitabilmente ghignamo. Ma è soprattutto in questi momenti che il gioco risulta più critico, consegnandoci la verità su ogni attività coloniale, inducendoci a riflettere attraverso le armi della comica.
Consigliabile a tutti coloro che amano la fantascienza o le avventure numeriche non convenzionali, Journey to the Savage Planet è un videogame amabile e irresistibile, una giocosa barzelletta con una morale non sciocca, un viaggio lucido e non convenzionale su un pianeta dove tutto è filtrato da un delizioso delirio acido. Ma quando realizzerete che vi state avvicinando alla conclusione del viaggio vi sentirete vagamente amareggiati, desiderando che l’avventura non termini, anelando la visione e l’esplorazione di un nuovo folle panorama e ancora un altro sorriso.