Federico Ercole per Dagospia
Sono un bambino scalzo e incappucciato chiamato Mono, indosso un sacchetto che mi cela il volto, due fessure nere ritagliate sulla superficie cartacea. E mi risveglio in una selva oscura, non come Dante perché sono troppo giovane, bensì come il bimbo di Limbo, cominciando così a camminare sotto la volta soffocante degli alberi, senza scopo e neppure una direzione che non sia quella imposta dalla necessità di andare avanti. Ci sono tagliole e altre trappole celate, sacchi che invece di fogliame secco contengono cadaveri, non c’è verde, è tutto nero o grigio.
Giungo nei pressi di una casetta e qui non sono più solo, perché nel suo interno abitato dai corpi impagliati e rotti di una famiglia nella posa di imputridite attività domestiche trovo una bambina e la libero. Con la nuova compagnia quel sentimento di angosciosa solitudine, di desolante inutilità, si dissolve perché ho qualcuno da proteggere e da portare in salvo, ho uno scopo nella palude immota di questo spaventoso niente.
La bambina mi indica la via di fuga, la sua intelligenza artificiale mi è d’aiuto e io la posso prendere per mano, ricordandomi di un’altra fuga solo illusoriamente meno disperata, quella di Ico e Yorda. Ecco tuttavia che dai meandri della casa nel bosco giunge un cacciatore dal cranio abnorme armato di fucile e così comincia la fuga, una fuga che forse non finirà mai.
Sono tutt’altro che piccoli gli incubi di Little Nightmares 2, brutti sogni senza la consolazione del risveglio, come d’altronde lo erano quelli del primo episodio, salvo che in questo seguito si intrecciano in maniera ancora più profonda con in ricordi dell’infanzia e i loro luoghi oscuri, riaccendendo paure sopite e rimosse, restate tuttavia a stagnare nel subconscio per ripresentarsi talvolta, appunto, durante angosciose derive oniriche.
Uscito per Playstation, Xbox, Nintendo Switch e PC, il nuovo videogame di Tarsier Studios sotto l’egida di Namco-Bandai è quindi tutt’altro che una fiaba macabra pensata per alimentare piccoli brividi nel giocatore più piccolo, ma un testo interattivo per rammentare all’adulto il significato di terrore quando si è piccoli, soli e al buio.
NELLA CITTA PALLIDA
Illustrato in due ingannevoli dimensioni, Little Nightmares 2 è un’avventura ibrida, con elementi ludici di rompicapo e gioco di piattaforme. Lasciamo presto la selva per addentrarci tra gli edifici sbilenchi di una città defunta.
Penetriamo tra le mura di una scuola sprofondata in un’asfissiante dimensione di didattica mostruosa, ci sono ancora gli studenti nella forma di folli bambole di ceramica e soprattutto una maestra sadica dal collo che si allunga come quello di una serpe. Sarà da lei che dovremo fuggire questa volta, attraversando aule, corridoi e mense. Poi viaggeremo attraverso un ospedale, seguiti da manichini di pazienti e infermieri, braccati da un chirurgo obeso e verminoso. Andremo oltre questi luoghi verso spazi più astratti e indefinibili, fino ad una conclusione inevitabilmente disperata.
Questa volta, a differenza del primo episodio, potremo anche difenderci e non solo scappare, ma i momenti di azione offensiva sono rari, non turbando così la progressione sconfortante e neppure il sentimento di afflizione, risultando invece coerenti con questa fiaba nera, con il suo spaventoso ritmo giocoso.
Raccogliamo ad esempio un tubo di piombo per spacciare gli studenti della scuola dell’orrore, cosa non facile e mai meccanica perché ci fa percepire la difficoltà dell’azione e il peso dell’arma. Usiamo una torcia per bloccare i movimenti dei loschi figuri dell’ospedale in uno dei migliori segmenti horror della letteratura videoludica degli ultimi anni, ma guai a non illuminarli perché ci vogliono pochi secondi affinché ci spaccino blaterando versi irriconoscibili. All’ospedale ci sono inoltre delle mani che si muovono come aracnidi, ricordi di Alien e dei suoi mostri che si attaccano alla faccia.
Nel corso del gioco realizziamo che la bambina che ci accompagna è proprio Six, la protagonista del primo Little Nightmare, e questo ci delizia e terrifica insieme. Ad un certo punto la bambina tornerà ad indossare il suo abito giallo da pioggia, tornando a ricordarci lo sventurato Georgie Denbrough di It. Gli enigmi di Little Nightmare 2 non sono ostici, ma ispirati e suggestivi, motori di ansia più che esercizio di logica, risolti con lo sguardo vitreo di un animale inchiodato sulla strada dai fari fatali di un’automobile.
IL PIACERE DELLA PAURA
Ma in questo grande e brutto sogno c’è anche il piacere, legato non solo al fascino ludico di una giocabilità mai troppo meccanica e invece plausibile grazie alla verosimiglianza degli effetti fisici e per come restituisce un senso di fatica e panico. L’arte allucinata degli scenari e delle ambientazioni favorisce un viaggio estetico insieme a quello onirico. E se consideriamo la presenza di Six l’avventura diviene persino sentimentale, alimentandosi l’affetto e l’empatia per la bambina tramite la condivisione del terrore in una negazione di egoismo.
Giocare a Little Nightmares 2 è quindi come guardare una delle opere di HR Giger, provando quella vertigine esperibile solo nell’ossimoro artistico di orrore e bellezza.
Fosco e dal cromatismo spento e deprimente, Little Nightmares 2 possiede la solennità di un epicedio e una lirica sepolcrale ossianica ma lisergica, un viaggio comunque meraviglioso anche se crudele e grottesco attraverso traumi e abusi trasfigurati dagli occhi dei bambini e, per questo, cose ancora più orribili e spaventose.
Little Nightmares 2 è quindi un gioco terapeutico, persino formativo, perché ci insegna a non trattare con superficialità le paure dei bambini o a trascurare i loro disagi espressi o inespressi all’ombra della nostra maturità. Un videogame necessario soprattutto oggi, epoca pandemica durante la quale le esigenze vitali dei bambini sono considerate vieppiù accessorie se non insignificanti e i loro “piccoli” incubi si dissolvono in maniera illusoria al mattino, inascoltati nel grande incubo collettivo.