Federico Ercole per Dagospia
Nei videogame si è quasi sempre sparato, tanto e quasi a tutto. È vero che si spara quasi sempre ai cattivi e possiamo considerare questa attività distruttiva di numeri un retaggio dei nostri giochi da bambini con fucili o pistole di plastica, tipo “cow-boy e indiani”, quindi un’attività ludica e innocua, ma ciò non toglie che sputare qualsivoglia proiettile contro nemici virtuali sia una delle attività più diffuse nel videogame, senza dubbio più di quella di fare sesso.
Se dobbiamo sparare a tutto tanto vale quindi farlo nel modo giocoso migliore, più divertente e liberatorio, quindi con Doom Eternal di Id Sofware, appena uscito per PlayStation 4, Xbox One e PC, perché risulta facile definirlo lo “shooter” supremo, nuovo re metallico e sanguinario di un genere che ha fatto la storia del videogame e persino dell’arte.
Il seguito del “reboot” violentemente straordinario di questa serie seminale inventata nel 1993 da John Carmack e John Romero è pura frenesia di spari incessanti, ritmica ossessiva di distruzione “blastatoria” di demoniaci corpi orrendi interrotta solo da qualche prezioso, più liquido e borbottante squarcio della nostra arma alternativa: la motosega. Ma attenzione attraverso la soggettiva della prima persona Doom Eternal non è solo morte e rovina di migliaia di diavoli invasori, ma profonda e ipercinetica indagine sullo spazio e le architetture, in questo caso nel loro stato di crisi definitiva.
L’ORRORE DELLA STASI
Dagli squarci dimensionali aperti su Marte dall’uomo per i soliti interessi economici, i demoni di un inferno urlante più horror e metallaro che in ogni altra rappresentazione artistica o letteraria, giungono infine a portare la catastrofe sulla Terra. Sta dunque a noi, nell’armatura del Doom Slayer, atterrare e cominciare a massacrare queste orde di impuniti diavolacci di ogni forma e gerarchia per rispedirli tra le fiamme, rigorosamente fatti a pezzi. Un pretesto narrativo elementare (neanche troppo, scopriremo) e immediato per penetrare subito in una catena di azione sfrenata che non conosce interruzioni, un climax dopo l’altro di ondate orripilanti da eliminare prima che queste, a loro volta, ci eliminino.
Perché è vero che chi non è ferrato negli sparatutto può giocare Doom Eternal nella poco offensiva modalità “troppo giovane per morire” ma già nella successiva in ordine di difficoltà, ovvero “fatemi male” ci fanno già, giustamente, molto male e si muore parecchio. E se non siete dei campioni della coordinazione sguardo/dita non prendete neanche in considerazione le modalità “ultra-violenza” o “incubo”, davvero micidiali.
La chiave per sopravvivere Doom Eternal e nel contempo la sua qualità ludica più ancestrale è il non fermarsi mai, lo sguardo deve sempre correre perché la stasi è l’orrore, il Game Over. Doom Eternal differisce quindi molto dagli sparatutto più realistici, militari (e noiosi) degli ultimi anni e recupera in maniera radicale e gloriosa quell’impazienza iperattiva delle origini, ancora più del suo predecessore, vagamente più esplorativo.
Ci si abitua presto a questa furia dello sguardo e dopo poco diviene una condizione normale per osservare lo spazio virtuale, ambientazioni contaminate con pesantezza più che apocalittica dall’invasione demoniaca, un’urbanistica infranta e “splatter” che non possiede il fascino romantico del rudere come in tanta iconografia post-apocalittica ma è piagata come il corpo putrido di uno zombie di Tom Savini.
TRIPUDIO DI MOSTRI
Forse ci potremmo anche annoiare, se avessimo il tempo di farlo, durante questa rabbiosa e perpetua sparatoria se non fosse che i bersagli infernali sono molto vari e disegnati con un gusto della mostruosità da copertina di un album heavy metal che raggiunge lo stato dell’arte. Ci sono zombie quasi classici, soldati deformati dalla possessione demoniaca, cervelli-aracnide, ciclopi passati al frullatore e ridotti a zecche carnose, energumeni scimmieschi e scivolosi di liquidi ributtanti. Ma non c’è solo un “magnifico schifo” nel disegno delle creature, perché alcune di queste sono solenni di una regalità infernale e oscenamente cavalleresca.
Ci vogliono più di venti intense, sofferte ed esaltanti ore per finire Doom Eternal, tuttavia se siete bravi nel genere dello sparatutto in prima persona dei vecchi tempi ci potreste mettere senza meno tempo. Si tratta di ore spese molto bene, una pura, spassosa astrazione catartica dalla realtà, soprattutto mentre attendiamo che questa si faccia meno brutta e opprimente, un innocuo ed esilarante anti-depressivo.
Malgrado la truculenza “gore” della rappresentazione, la nuova opera di Id Software risulta assai meno violenta di tanti altri videogame, proprio per la sua esasperazione e se Doom Eternal non è certo il gioco da condividere con dei bambini potrebbe invece essere adatto anche ai ragazzi non ancora maggiorenni, per insegnare loro cos’è davvero uno Sparatutto e soprattutto fargli intuire, oltre il gioco, come osservare e decodificare lo spazio che ci circonda con velocità, istinto e intelletto.