Federico Ercole per Dagospia
Lo scrisse Stephen King che l’inferno è ripetizione, ribadendo quello che già intuirono i poeti dell’oltretomba punitivo nel corso dei millenni, l’abitudine sfiancante del dannato nella reiterazione eterna dello stesso gesto opprimente. Ecco dunque che Supergiant Games, la piccola azienda di videogiochi indipendente con base a San Francisco già responsabile dei notevoli Bastion e Transistor, estremizza questo assunto infernale kinghiano mutandolo nella principale meccanica ludica della loro nuova opera intitolata Hades, per Switch Nintendo e PC, precipitandoci nel fondo del Tartaro e obbligandoci a ripetere, ripetere e ripetere sempre da capo, finché non giungeremo infine alla luce olimpica, una fuga che in apparenza è senza speranza.
Si muore e si rivive, cominciando sempre dal principio la nostra ascesa. Che noia eh, potreste pensare! E invece no. Perché il miracolo artistico compiuto da Supergiant Games con questo videogame è che la ripetizione non è fonte di tedio e frustrazione, invece di gioia giocosa e scoperta, così che l’abitudine diviene motore di trionfo e di innumerevoli storie.
Che la “routine” sia elemento importante nei videogame anche quando solo parziale è cosa evidente dalle loro origini, soprattutto in alcuni generi del gioco, e spesso si rivela utile e appagante, tuttavia l’iterazione punitiva di Hades è connessa in maniera indissociabile all’intreccio e al contesto narrativo, dimostrandosi l’unica possibile in quest’opera, la più giusta e vincente. Hades risulta quindi un eccezionale gioco d’azione e avventura, un lunghissimo racconto epico e talvolta comico con la suggestiva cornice ellenica dei divi ctoni e olimpici, che si pone tra le migliori e più profonde invenzioni elettroniche di questa straordinaria e ormai soccombente generazione di software.
IL FIGLIO DI ADE
Hades è un “roguelike”, ovvero quel genere di videogame già ripetitivo per sua natura, dove ogni volta che il protagonista muore il giocatore è costretto a cominciare dal principio la propria esperienza, perdendo tutti gli oggetti e l’esperienza ottenuta. Altra caratteristica del “roguelike” è che gli spazi che esploriamo sono generati ogni volta in maniera procedurale, quindi sempre diversi, garantendo quindi la freschezza del viaggio.
Il gioco di Supergiant Games rispetta i dettami del genere, varia ogni volta la composizione delle “stanze” sebbene non la tipologia ambientale e perdiamo i bonus ottenuti, ma non del tutto perché possiamo potenziarci con alcune risorse inestinguibili e quindi affrontare di nuovo il gioco più forti. Ciò che distingue tuttavia Hades dagli altri è proprio la narrazione, perché ascesa dopo ascesa la storia si adatta ai nostri trionfi e fallimenti, proponendoci dialoghi sempre nuovi (tutti sottotitolati in italiano) dando vita ad una varietà narrativa profonda e sorprendente.
Impersoniamo il ribelle Zagreus, figlio di Ade, nei suoi coraggiosi, mai disperati ma scanzonati, tentativi di fuggire dal buio oltretomba del padre e ascendere all’Olimpo. Cominciamo ogni volta dalla sala del trono di Ade, dove possiamo dialogare con Achille o Orfeo in preziosi e colti siparietti, ci potenziamo se possibile, scegliamo l’arma adeguata e poi via per aule e corridoi piene di mostri fino all’eventuale “boss”, la cui sconfitta ci fa proseguire nel prossimo livello.
Talvolta invece di combattere troveremo luoghi abitati da personaggi amichevoli come Sisifo con il suo grande masso, Euridice che canta dolci canzoni e un Caronte di poche parole che qui fa il mercante di utili risorse. Ogni stanza è utile per potenziarsi: possiamo ampliare la nostra poca vita, trovare oro, elementi utili per aumentare stabilmente le proprie abilità e soprattutto incontrare gli dei Olimpici in tutto il loro fulgore, Zeus, Ares, Artemide o Atena che ci benedicono con straordinarie tecniche offensive o difensive, la cui validità dipende spesso dalla Fato, così che durante alcuni tentativi di fuga possiamo essere assai più potenti che in altri.
Disegnato a mano con un artistico risultato pittorico, Hades ci propone una visuale isometrica dall’alto che illustra panorami opprimenti e talvolta idilliaci come quelli dei Campi Elisi, sempre suggestivi, da ammirare, esaltati da una musica folk-rock e dalle vicissitudini di questa famiglia divina così poco leggendaria e tanto umana e problematica da sembrare contemporanea, “vera” nei suoi disagi e nei suoi rapporti parentali.
UN LEGGENDARIO SISTEMA DI COMBATTIMENTO
Si combatte assai bene in Hades, con precisione, velocità, strategia e una varietà di approcci marziali dovuta alle cinque armi utilizzabili che si selezionano all’inizio di ogni fuga. Ognuno troverà il suo accessorio offensivo preferito, che sia lo spadone, l’arco (il favorito di chi scrive), una specie di fucile divino, pugni d’acciaio o una lunga lancia. Associata alla variabilità dei poteri ottenibili dagli dei, questa possibilità di scegliere il proprio stile d’attacco garantisce ad Hades di offrire al giocatore un’esperienza personalizzabile o variabile secondo le proprie esigenze o abilità.
Considerata l’efficacia del sistema di combattimento e il lento ma sensibile miglioramento del protagonista dopo ogni fallimento, le fughe ci spingono ad volere andare sempre oltre alimentando una appassionata assuefazione; il progresso è quasi costante così come la sorpresa, come quando ci si aspetta di affrontare il solito “boss” ma invece tutto è cambiato. E’ inevitabile non demordere, riprovare, perché c’è soddisfazione anche nella sconfitta, si ritorna con qualcosa di utile, si padroneggia meglio la propria arma, arricchiamo la nostra enciclopedia con nuovi dati sui personaggi e le creature mostruose.
Insomma ci potrebbero volere dalle cinquanta alle cento ore per fuggire infine dal Tartaro, ancora di più se decidiamo di continuare a giocare anche dopo i titoli di coda in un ricco e quasi imprescindibile “end game”, ma Hades malgrado la reiterazione risulta un puro divertimento stratificato ed esaltante che ci insegna a non temere di perdere anche dopo un inaspettato Game Over, perché speriamo e sappiamo che la prossima volta andrà meglio e che al limite ci meraviglieremo per un’altra bella storia, azione o visione.
Rinunciare all’esperienza di Hades per tema della sua solo illusoria ripetitività sarebbe come non volere sognare un altro sogno perché “tanto è solo un sogno” o non leggere più “perché comunque le lettere sono sempre quelle”. Non c’è scopo numerico più nobile che ribellarsi alle catene dell’inferno e di una famiglia opprimente nello slancio giovanile verso libertà e la scoperta di se stessi. E se come tutti temiamo saremo ancora obbligati a chiuderci tra le mura delle nostre case nell’imperversare invernale del Covid, questa fuga dall’Ade, anche se solo in maniera simbolica, potrà risultare catartica e persino confortante.