Federico Ercole per Dagospia
Labo, l’invenzione tecno-cartacea di Nintendo, si espande con il suo terzo kit, il più sperimentale di una serie di forme e idee ludiche che solo chi non sa più meravigliarsi, chi non ha cuore il futuro del “gaming” o ha perso ogni curiosità, ritiene sciocchezze o bambinate.
Sono tanti i cosiddetti (magari solo da loro) “hardcore gamer” che si lagnano beceri di Labo nello spazio comune troppo affollato e incontrollato dei forum e dei social, come se la sua invenzione minacciasse il loro modo adulto di giocare, anche se poi magari richiedono con uguale livore un selettore di difficoltà per Sekiro, perché troppo ostico.
Come se il gioco non fosse soprattutto il dominio dei bambini e proporre videogame stimolanti e con un valore propedeutico che sconfina dallo stesso medium di riferimento non servisse inoltre a formare una nuova generazione di videogiocatori non assuefatta solo alle dinamiche più becere della moda dell’ultimo momento, a renderli partecipi e attivi invece che passivi osservatori di partite altrui su Youtube o dissipatori di patrimoni in prodotti mediocri illusoriamente gratuiti.
Quindi per fortuna esiste Labo e chi è è così coraggioso e controtendenza da averlo pensato, prodotto e distribuito. E ha ragione Francesco Fossetti di Everyeye.it quando scrive che “come community (di videogiocatori, ndr) dobbiamo smettere di considerare una debolezza il fatto che la proposta di Labo non sia adatta a tutti. Le lamentazioni di chi non la vuole accogliere valgono meno della meraviglia di chi l’ha sempre desiderata”.
REALTA’ VIRTUALE DI CARTONE, INCLUSIVA NON ESCLUSIVA
Il nuovo kit di Labo, proposto in due edizioni dal prezzo che varia in base alla quantità di modelli contenuti, è dedicato alla realtà virtuale e consente di assemblare con i suo fogli di cartone un vero e proprio visore VR che utilizza la Switch come schermo, filtrata da una coppia di lenti. Ci vuole assai poco, ascoltando le meticolose video-istruzioni del tutorial interattivo visibile nel software contenuto nel kit, per montare questo cartaceo visore, poco più di una trentina di minuti.
Bambini maggiori di sei anni lo possono montare da soli, magari unendo le forze con fratelli, sorelle o amichetti, ma la presenza di un adulto è utile non solo per scrupolo, ma soprattutto per condividere il divertimento con i più piccoli, per giocare con loro. E’ necessario tuttavia precisare che come gli altri kit anche quello in questione può appassionare e intrattenere adulti senza bambini intorno, se questi non hanno perso il desiderio di scoprire, montare e giocare.
Non si tratta solo di gioco, Labo come sempre educa alla tecnologia, fornendo a chi lo utilizza un’importante alfabetizzazione sui meccanismi e le dinamiche che portano al funzionamento di questo o quell’oggetto, affinché chi usa una qualsiasi tecnologia non sia un utente passivo e disinformato. Una propedeutica che non passa solo attraverso la costruzione ma è proposta in maniera utile, comprensibile e affascinante in una sezione dedicata del software.
Dopo avere montato il visore si può giocare ad una serie di mini-game minimali ma senza dubbio divertenti e meraviglianti, dal tiro di una palla a canestro ad una corsa virtuale di macchinine martellanti, dalla gestione di una cucina al lancio del boomerang.
Il problema della realtà virtuale e nello stesso tempo un pregio per le sue qualità più benignamente alienanti, è quello di essere esclusiva, tendendo a isolarci completamente dalla realtà per farci vivere un’esperienza il più possibile immersiva.
La visione nintendiana della VR proposta con Labo è invece diametralmente opposta, in quanto davvero inclusiva, un obiettivo socializzante risolto tramite un presupposto semplice quanto geniale: il visore deve essere retto con le mani, non possiede infatti elastici che lo fissano al volto; in questo modo dunque è inevitabile usarlo per sessioni di gioco rapidissime, passarlo a chi ci sta di fianco, non distaccarsi del tutto dall’ambiente che ci circonda.
CANNONI, UCCELLI, ELEFANTI
Il visore nella sua forma di base non è che un solo elemento del Kit VR di Labo che contiene invece altre complesse e multiformi costruzioni che possono richiedere diverse ore per essere montate.
C’è il cannone (contenuto insieme al visore anche nel kit più economico) che ci permette di blastare non troppo minacciosi alieni in uno “spece invaders” definitivo o sparare frutta nelle fauci degli ippopotami; la camera con la quale fotografiamo esemplari della fauna marina in una liquida immersione; lo strambo elefante e i suoi giochi a base di proboscide; l’uccello che ci consente un bellissimo volo in cerca di uova da covare.
La proposta di attività contenuta nel software è davvero vasta e diversificata, in garantendo ore meraviglianti di gioco condiviso in famiglia, con gli amici o beatamente solitario. Persino la zia più ostile al videogame “perché dicono al tg che fa diventare violenti” resterebbe affascinata prima dalla costruzione e poi dalle attività ludiche e divulgative proposte da Labo, fateglielo provare.
Inoltre Nintendo ha reso usufruibili per la sua realtà virtuale due capolavori per Switch, ovvero Super Mario Odissey e Legend of Zelda Breath of the Wild. E’ ovviamente impossibile giocare queste due opere interamente con la VR, considerata la natura del visore, ma ammirare i panorami di Hyrule facendo coincidere i nostri occhi con quelli di Link per qualche minuto è essere un’esperienza addirittura commuovente per quanto quasi inutile. Molto più interessante è invece il lavoro svolto per l’odissea dell’ex-idraulico poiché sono state implementate nuove missioni appositamente studiate per la realtà virtuale.
Giocando, lo sanno tutti o lo dovrebbero sapere, si impara sempre qualcosa e questo, oltre il divertimento puro, è il cuore filosofico e poetico di Labo, così concreto e così effimero, carta e numero, plastica e immagine, virtualità e realtà, come scrivere su un diario il racconto di un proprio sogno, trasformandolo in parole.
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