Federico Ercole per Dagospia
Schiaccio “triangolo”, almeno sul controller di Playstation 5 dove ho giocato Neva, l’ultimo lavoro di Nomada Studio dopo il luttuoso quanto lucente Gris. Schiaccio “triangolo” e chiamo appunto Neva, una piccola creatura dalle forme chimeriche di lupo bianco e cervo, esclamo il suo nome con voce mutevole, dapprima allegra, poi titubante, preoccupata e infine disperata finché la bestiola non ricompare sguazzando tra le acque di una pozza, fiutando un uccelletto.
Questo utilizzo unico di un tasto per rivolgersi ad un compagno animale seppur fantastico mi rimanda a quel capolavoro di connessione bestiale che fu The Last Guardian di Fumito Ueda, ma qui in Neva il rapporto è diverso, forse meno profondo considerata anche la concisione dell’opera, che necessita solo di cinque ore circa per essere completata; ma non si preoccupi l’acquirente, il gioco per Switch, Playstation, Xbox e PC costa circa 19 euro e, come leggerete, li merita più di tante esperienze enfiate e insignificanti a 80.
Tra Neva e chi gioca, nella cappa rossa di una ragazza, si fonda un rapporto che si evolve con il tempo non (solo) in base all’affezione e alla conoscenza reciproca ma alla dipendenza cangiante tra l’essere umano e l’animale nel corso del tempo, che qui è soprattutto un’allegoria del rapporto genitoriale: la necessità di protezione e conforto di un bambino/cucciolo per una madre o un padre muta con gli anni in qualcosa di opposto, diventa il bisogno del genitore verso la prole. Così nelle fasi avanzate di Neva, schiacciando triangolo, la voce della protagonista chiamerà Neva per necessità, con la voce tremante e sperduta.
Se Fumito Ueda ci poneva di fronte al mistero forse insondabile della ferinità, in Neva gli artisti di Nomada Studio ci inducono invece a riflettere su affetti e bisogno dell’altro, che cambiano in maniera drastica nel trascorre delle stagioni della vita. Non a caso gli autori di Neva hanno dichiarato che durante lo sviluppo del gioco, ideato durante il lockdown del covid, molti di loro abbiano avuto dei figli, Neva è proprio una riflessione su di questo. Tutto ciò in un racconto fantastico di una bellezza bidimensionale e favolosa che attraverso suoni e immagini amplifica il tempo della sua concisa durata in qualcosa di più ampio, diluendolo in un luogo della mente con una cronologia alterata dall’arte e dalle sue suggestioni.
QUATTRO STAGIONI
Il racconto di Neva comincia d’estate per dipanarsi attraverso il ciclo stagionale, un po’ come quello di The Last of Us e c’è anche qualcosa di questo, del rapporto tra Joel ed Ellie, nel videogioco di Nomada Studio.
La ragazza vaga con una grande lupa cornuta bianca e la sua cucciola per verdi terre rigogliose, quand’ecco che un uccello lascia il suo stormo per abbattersi poi stecchito al suolo. Seguirà una pioggia di cadaveri e l’avvento di una tenebra senziente, animata di figure quasi antropomorfe o bestiali che attacca la compagnia. La grande lupa morirà e alla fanciulla resta la piccola Neva.
A differenza di Gris, malgrado sia sempre un platform in due dimensione, in Neva si combatte anche in lotte che possono all’inizio sembrare elementari ma si fanno vieppiù complesse, anche quando la lupa favolosa, crescendo, aiuterà la fanciulla con la sua nuova forza. Non muta tuttavia il valore artistico dell’illustrazione, una pittorica e meravigliosa fusione tra il “naïf” di Henri Rousseau e l’impressionismo naturalista e panoramico di Paul Cézanne.
Nel corso delle stagioni la tavolozza cromatica muta in memorabili tinte sempre sfumate e sovrapposte, imponendo ogni gamma possibile di colori, dai più chiari ai più scuri, alterati talvolta in tempo reale da improvvise variazioni di illuminazione, sottolineati dalla notevole colonna sonora di The Berlinist che impone loro un significato emozionale e non solo illustrativo.
Durante il corso del gioco mentre i combattimenti si fanno più complessi e intensi arricchendosi di nuove meccaniche, anche il “platform” diviene sofisticato, induce alla riflessione oltre che ad un certo virtuosismo così che navigare lo spazio, grazie all’introduzione di idee sempre nuove, non è solo un’attività estetica ma squisitamente ludica. Neva non è solo arte, ma videogioco, un notevole videogioco.
REMINISCENZE MIYAZAKIANE
Risulta da subito evidente come la spagnola Nomada Studio abbia citato nella forma e persino nella sostanza, due opere di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli, ovvero la Principessa Mononoke con i suoi due lupi bianchi e La Città Incantata, perché quasi ogni disegno dei nemici del gioco è modellato sulla maschera bianca del Senza Volto di questo lungometraggio, un personaggio dalla solitudine micidiale che lo porterà, nel suo bisogno di affetto e compagnia, a diventare un mostro.
Qualcuno ha trovato esasperato queste citazioni ma non lo sono affatto, perché si tratta invece di una interiorizzazione e rielaborazione di idee miyazakiane, come se questi film fossero stati incidentalmente visti e rivisti durante lo sviluppo del gioco, magari proprio con dei bambini.
Neva è un videogioco imprescindibile, da esperire in un pomeriggio tra gli altri videogiochi notevoli e autunnali (non solo perché è autunno) di questo periodo come l’ultimo Legend of Zelda, Silent Hill 2 o Metaphor del quale presto vi racconterò; vi richiederà assai meno tempo di questi ma vi lascerà altrettanti ricordi e suggestioni, forse ancora di più, ribadendo che nei videogiochi come nella letteratura un racconto o un sonetto possono valere quanto un grande romanzo.