Federico Ercole per Dagospia
Il nuovo Yakuza comincia a teatro, un preludio non interattivo che ci racconta la messa in scena di un dramma sulla vendetta tra samurai. Tuttavia la tragedia non si consuma solo sul palco ma prosegue nella quotidianità della disgraziata compagnia, retta da una donna despota e sadica che ha sfregiato il viso del piccolo figlio Masumi e trama l’omicidio di suo padre. Così è subito morte, oltre il palcoscenico, in un sanguinoso teatro della crudeltà che coincide con la vita.
Trascorrono gli anni e quel bambino esile è diventato un boss della Yakuza del solito Kamurocho, versione fittizia ma quasi identica del quartiere Kabukicho di Tokyo e spazio virtuale per eccellenza della saga criminale di Sega. Masumi Arakawa, interpretato dallo “spaziale” George Takei, ovvero Sulu di Star Trek, non è tuttavia il protagonista di Yakuza Like a Dragon, sebbene figura fondamentale per l’evoluzione della narrazione di questo straordinario e inaspettato videogioco, perché il ruolo spetta a Ichiban Kasuga, che sostituisce l’ormai leggendario Kazuma Kyriu, il personaggio principale e indimenticato dei sette episodi precedenti.
Ichiban porta dunque sulle sue spalle digitali il peso atlantico di sostituire un carattere amatissimo e di spingere questa longeva e sempre lodevole saga verso nuovi orizzonti ludici e artistici, ed è inevitabile che all’inizio gli appassionati di lunga data lo guardino con un certo sospetto. Ma Ichiban ci riesce, facendoci dimenticare dopo pochi minuti il grande Kazuma, rivelandosi un personaggio così potente da essere l’origine di una rivoluzione totale della galassia Yakuza, che qui non solo muta il protagonista ma il suo genere ludico, in maniera drastica e bellissima.
Like a Dragon è infatti un gioco di ruolo giapponese classico, uno dei migliori e più originali degli ultimi dieci anni, con i combattimenti a turni, le classi dei personaggi e persino qualche tipo di magia, senza perdere tuttavia nulla della cornice da epopea noir, dell’epica, della periodica comicità e del realismo melodrammatico che anima la serie dal suo esordio. Insomma c’era il rischio che il nuovo Yakuza potesse essere un brutto mostro, una creatura assemblata male nella ricerca di una necessaria originalità e in effetti una sorta di mostro lo è: una fenice che risorge fiammante dalle sue ceneri brillando verso un nuovo inizio.
UMILIATI E OFFESI
Ichiban, orfano cresciuto in un bordello e giovane delinquente in seguito adottato da Masumi Arakawa, trasforma i panorami consueti e le dinamiche ludiche di Yakuza attraverso la sua brillante fantasia. Egli è fin da bambino un fanatico videogiocatore di Dragon Quest, la celeberrima serie di videogame di ruolo disegnata da Akira Toriyama di Dragonball, così tende a interpretare la realtà attraverso le meccaniche e le tematiche di quei giochi, identificandosi nel loro Eroe e tentando di agire come tale.
Egli diventa, attraverso una serie di sventure che lo porteranno a vivere tra i senzatetto di Yokohama, il simbolo della rivalsa etica e sociale di una variegata compagine di umiliati e offesi in un’avventura che si rivela una straordinaria rivincita degli ultimi, una canzone sull’eroismo di coloro che sono considerati sconfitti, reietti e miserabili da una società spietata ed egoistica.
La storia di Ichiban, e quella degli altri personaggi che lotteranno con lui tra i quali un senzatetto, un anziano ma nerboruto ex-poliziotto e un’arguta fanciulla, possiede un andamento narrativo che rimanda al verismo tragico e incantato del Kurosawa di Dodeskaden o Barbarossa, filtrato da una ritmica emozionale “schizofrenica” che varia in continuazione il registro dal sublime al grottesco, dal comico al drammatico.
Si tratta di un racconto corale, composto da decine di storie che si intrecciano, cosa già comune agli altri Yakuza, ma qui è proprio l’elemento favoloso aggiunto dall’immaginazione di Ichiban che fa la differenza, favorendo una narrazione dalla poetica squilibrata e magnifica che coincide in maniera esemplare con le meccaniche “ruolistiche” proposte dal gioco, convenzionali e proprio per questo nuove e fresche considerato il loro nuovo, improbabile contesto.
Cercando lavori presso agenzie di collocamento, aiutando prostitute immigrate contro inquietanti turbe di manifestanti bigotti, raccogliendo lattine per farci due spicci al manubrio di una bici a tre ruote, esplorando veri e propri “dungeon” estrapolati da un’urbanistica metropolitana contemporanea, lottando contro bulli e criminali d’ogni sorta metamorfizzati in bizzarre creature dall’estro di Ichiban, salendo di livello, imparando nuove abilità, indossando equipaggiamenti sempre più potenti ed esperendo sconvolgenti e toccanti colpi di scena, comprendiamo infine la più profonda lezione di Yakuza Like a Dragon: l’incanto della rinascita può attuarsi ovunque, anche nel più profondo inferno di sconfitta e miseria. Anzi soprattutto in quegli abissi “perché lassù è tutto falso e ingannevole”. Va inoltre segnalato che, diversamente dagli altri Yakuza, Like a Dragon è sottotitolato in italiano.
SEMPRE UNO YAKUZA
Uscito per le varie Xbox vecchie e nuove, Playstation 4 (prossimamente su 5) e PC, Yakuza Like a Dragon innova con successo una saga così potente da non averne quasi bisogno, conservando il suo spirito malgrado questa magnifica trasgressione. Ci sono ancora gli innumerevoli mini-giochi come il Karaoke e gli “arcade” con la versione integrale e originale dei classici da sala-giochi di Sega, ma c’è anche lo spassosissimo e dissacrante Dragon Kart, ispirato ai giochi di corse di Mario o Crash.
C’è sempre la trama shakespeariana e sontuosa delle lotte criminali tra le famiglia della Yakuza, illustrata con la consueta perizia cinematografica in filmati dalla regia ispirata e impeccabile, ma c’è qualcosa di più tra le righe del racconto, qualcosa di imprevedibile. Anche i combattimenti, sebbene stravolti dai turni e dall’immaginazione di Ichiban, possiedono ancora qualcosa, un ricordo estetico e lontanamente ludico, di quelli consueti che erano invece nello stile traslato in tre dimensioni di un “picchiaduro” a scorrimento.
Like a Dragon è quello che deve essere, un nuovo Yakuza ma non solo questo, perché va oltre la sua serie di appartenenza dimostrandosi con sfacciata e trasgressiva irruenza la sorpresa più brillante e inattesa (che non significa il gioco migliore, anche se tra questi esso è senza dubbio) di un tetro 2020 almeno fecondo di videogame d’ogni piccolezza e grandezza degni di amore e memoria.