MAN OF MEDAN
Federico Ercole per Dagospia
“Primo capitolo di una ventura antologia dell’orrore elettronico, il videogame di Supermassive Games per console e PC ci trasporta nei corridoi oscuri e i saloni decadenti di una grande nave occupata da terrificanti e micidiali visioni spettrali.”
Quando giochiamo con un videogame horror è raro essere degli ingenui, talvolta addirittura degli imbecilli, come tanti personaggi del cinema di questo macabro genere, insomma quelli che fanno sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato (“dividiamoci!”), vittime ideali scritte dagli sceneggiatori per essere sacrificate sull’altare di Jason, di Michael Myers o di Ghostface.
Questo perché nei videogiochi del terrore il protagonista deve inevitabilmente giungere alla conclusione e avere gli strumenti per opporsi alle minacce e sopravvivere. Tuttavia non è sempre così, basti pensare ad Until Dawn, nevoso e corale horror “slasher” uscito nel 2015 per Playstation 4, nel quale interpretavamo un mucchio di giovani per lo più insopportabili, viziati e sprovveduti come tante delle loro controparti al cinema, programmati proprio provasse empatia per loro e di conseguenza non ne patisse troppo l’orribile ma solo eventuale morte, perché giocando con strategia e rigore li si poteva salvare.
E’ appena uscito Man of Medan, la nuova opera di SuperMassive Games, gli stessi autori del comunque memorabile Until Dawn, per Xbox One, Playstation 4 e Microsoft Windows e anche questa volta, per fortuna, giochiamo nei panni presto insanguinati di insopportabili imbecilli.
OVERLOOK HOTEL GALLEGGIANTE
Man of Medan, pubblicato da Bandai-Namco, è il primo episodio di un’antologia horror videoludica intitolata The Dark Picture Anthology, un ottimo esempio di quanto siano efficaci e suggestive le ambientazioni marittime e navali in giochi o film del terrore, basti pensare a Ghost Ship di Steve Beck con il suo “tagliente” e formidabile inizio e al videogame Resident Evil Revelations.
Dopo un breve preludio storico che ci trasporta nel mezzo dell’Oceano Pacifico a bordo di una grande nave alla fine della seconda guerra mondiale ecco che conosciamo il cast di giovani protagonisti su un porticciolo tropicale, pronti a salpare per una crociera avventurosa in cerca di relitti subacquei non ancora esplorati.
Si tratta di una coppia di facoltosissimi e presuntuosi fratello e sorella, del servile fidanzato di lei, del fratello di quest’ultimo più sfigato ma almeno vagamente intelligente e della donna capitano della barca che questa amena squadra ha affittato con i soldi dei più ricchi. Il capitano sembra, almeno inizialmente, essere meno sciocca dei suoi passeggeri ma poi ne viene in qualche modo contagiata, giungendo addirittura a “limonare” sottocoperta con il milionario dopo un paio di sue esangui battute. O almeno così è successo a chi scrive, perché la storia di Man of Medan è altamente modificabile dalle scelte che compiamo in tempo reale, rivelandosi squisitamente ramificata, tanto che vale la pena giocarla diverse volte.
Dopo qualche sgradevole evento con i pirati locali e un’immersione da brivido giungiamo finalmente con tutta la (non più) allegra combriccola a bordo del relitto galleggiante della nave vista nel preludio. E l’orrore ha inizio con una serie continua di orribili visioni, cadaveri animati, sanguisughe vomitate da orifizi sanguinanti e tanto altro. La nave nel quale è ambientato il gioco sembra un Overlook Hotel dello Shining kubrickiano, ma marittimo.
VIDEOGIOCANDO CON IL CINEMA
Così come negli ultimi videogiochi di David Cage, autore di Heavy Rain e Detroit, non esiste un vero è proprio “game over” anche in Man of Medan perché l’azione prosegue sempre senza arrestarsi, qualsiasi sia l’esito di una nostra azione o decisione, anche la morte di un componente dello sventurato quartetto.
Man of Medan è una visione/azione sorprendente e bella nella sinistra e claustrofobica bruttezza inquietante e moribonda della nave fantasma, con i suoi corridoi annacquati e invasi dai ratti, dai cadaveri e dalla ruggine, le grandi sale decadenti, i ponti desolati e oscuri. Mentre muoviamo uno dei personaggi (possiamo collaborare online con un altro giocatore in una modalità cooperativa davvero interessante) possiamo “fare cinema”, dipende solo da quanto realisticamente e con precisione riusciamo a controllare i suoi movimenti attraverso gli scenari alternati di una regia precalcolata.
I protagonisti sono illustrati con estremo verismo così se quando li muoviamo la nostra mano sul controller li fa comportare in maniera innaturale questi allora camminano in uno sgradevole e comico zig-zag, girano su se stessi in una danza grottesca, insistono verso una direzione impossibile da prendere così che cozzano contro muri invisibili. E così l’incanto del cinema crolla miseramente.
Se invece giochiamo con stile, e non è molto difficile, realizziamo quanto sia riuscito il lavoro di messa in scena operato da Supermassive Games, risultando così un enorme e dilatato “lungometraggio” horror con lunghissimi piani sequenza e montaggi arditi come al cinema non se ne vedono da anni. La storia malgrado inevitabili luoghi comuni (cosa sarebbe l’horror senza, solo la brutta copia della vita) si rivela inoltre affascinante da vivere, offrendo qualche rara ma riuscita sorpresa.
HORROR DI FINE ESTATE
A chi scrive ci sono volute circa cinque ore per terminare Man of Medan salvando immeritatamente il quartetto di babbei, ma non vi indignate per la “scarsa” durata dell’esperienza perché comunque il gioco in questione è venduto a meno di trenta euro e perché merita davvero di essere giocato più volte e con lentezza per godere delle sue numerose possibilità narrative.
Bisogna inoltre pensare Man of Medan come primo capitolo di un’antologia che nella sua futura integralità potrebbe dimostrarsi un eccezionale compendio di orrori e che per ora è un esperimento riuscito e nuovo, da supportare, dimostrazione di come il racconto, il gioco e l’immagine nei videogame possano essere combinati in numerose, mostruose, meravigliose chimeriche forme.
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