Federico Ercole per Dagospia
Posso correre, talvolta sono costretto a farlo se non voglio estinguermi e tornare a correre ancora in una fuga disperata, condannato alla ripetizione dal Game Over, per non essere dilaniato di nuovo dalle fauci di una diabolica creatura dalla folle logorrea con la voce deformata di Troy Baker, già Joel in The Last of Us, BookerDeWytt in Bioshock Infinite o Ocelot in Metal Gear Solid Phantom Pain.
Posso correre premendo sul grilletto di una delle nuove Xbox S o X, è facile, e posso farlo quasi ovunque: sotto le nubi gravi e piovose che pesano sulle siepi incolte di un giardino-labirinto, per i corridoi e le sale di un albergo scomposto e afflitto dalla rovina, attraverso i boschi tenebrosi e autunnali, persino per le stanze delle pompe funebri dove sono cresciuto, prima di sistemare la cravatta sul corpo defunto del mio genitore adottivo.
Posso correre ma capisco subito che farlo significa essere sconfitto, negarmi la contorta bellezza surreale e formale del gioco, infrangere una ritmica lenta attraverso la quale si muovono i meccanismi della paura, un terrore che sorge da una quieta, luttuosa angoscia per poi crescere senza nessuna spettacolare alacrità ma adagio, sviluppandosi lungo il corpo del videogame con l’indolenza implacabile di una lunga, dapprima asintomatica malattia letale.
La sfida più ostica di The Medium, se la si coglie, è proprio quella di resistere all’urgenza di giungere alla sua conclusione, saperlo giocare con la flemma che richiede affinché sia percepibile, comprensibile e godibile per come è stato pensato dai suoi autori, affinché risulti “vero, perché non scada in un caleidoscopio di immagini, storie e movimenti alterati, abbrutiti e privati di significato dalla fretta. Quindi posso correre, ma è meglio non farlo se non nei rari momenti in cui è necessario, meglio camminare, lascia quel grilletto! Così che le immagini possano respirare, adattarsi ai suoni, alle azioni e al racconto.
Si Tratta di The Medium, prima e notevole esclusiva di Microsoft e la sua nuova linea di console, già disponibile da scaricare anche su Game Pass, un horror psicologico e sovrannaturale del polacco Bloober Team, già responsabile di Layers of Fear, Blair Witch Project e soprattutto dell’eccellente quanto angosciante The Observer.
OLTRE LA VITA, OLTRE IL CORPO
Ambientato in un Cracovia degli anni ’90 ma soprattutto nei sui boscosi dintorni e tra le aule stravolte dalla tragedia di un grande albergo lacustre costruito anni addietro per allietare il popolo dei lavoratori, The Medium ci pone in terza persona nel corpo di Marianne, giovane donna che fu orfana.
Ella possiede il potere di scivolare ed agire nell’altrove, incontrare i morti e infine redimerli e assolverli dalla loro spettrale non esistenza. Dopo un luttuoso prologo e una sinistra telefonata che allude ai misteri del suo passato, Marianne si reca dunque tra i ruderi dell’Hotel Niwa, dove comincia il suo viaggio tra la vita e la morte, in un mondo che si scinde tra il presente, l’altrove della morte e il passato in una dialettica spaziale e temporale suggestiva e allucinante.
Illustrato attraverso inquadrature precalcolate fisse o dinamiche, The Medium può apparire quindi come un Resident Evil Code Veronica dove tuttavia non si spara e combatte mai, ma si esplora e si risolvono enigmi quasi mai banali ma non ostici, studiati per adattarsi alla narrazione e all’atmosfera emozionale e artistica.
C’è comunque un’elemento straordinario e relativamente nuovo: quando Marianne entra nell’altrove del dopo-vita, dipinto con arte tetra e surreale ispirata alle opere di Zdzislaw Beksinski, lo schermo si sdoppia in uno sperimentale ed efficace split-screen. Visualizziamo e controlliamo quindi una duplice Marianne, in “questo” e nell’altro mondo, realizzando impressionanti simmetrie.
Non essendoci azione offensiva, The Medium potrebbe annoiare chi proprio non ce la fa senza una pistola o almeno una sbarra di ferro con cui sfasciare la testa a un qualche mostro, tuttavia se esperito assecondando il suo tempo il videogame di Bloober Team risulta appassionante in un crescendo dilatato di emozione, spavento e dolore, non annoiando mai per le circa 12 ore che ci vogliono per completarlo, continuando a sorprendere e inquietare durante tutta la sua evoluzione. Se siete appassionati di qualsivoglia letteratura dell’orrore non negatevi quindi l’esperienza videoludica di The Medium per tema della sua mancanza d’azione (che c’è comunque, non si spara o mena e basta) perché si tratta di una delle più riuscite e meno scontate nel suo genere come motore virtuale di brivido.
ARTE DELL’ANGOSCIA
The Medium pur nella sua realtà di produzione non colossale, anzi “quasi-indie”, è molto appagante per lo sguardo grazie alla sua ispirata idea artistica così che ogni panorama e ambientazione risulta ammirevole, degno di essere osservato nei suoi molteplici dettagli. Inoltre l’insieme di suoni, parole e musica è eccezionale.
La colonna sonora è stata scritta da Akira Yamaoka di Silent Hill e da Arkadiusz Reikowsky di Layers of Fear e The Observer, una musica che risulta fosca e misteriosa, adeguandosi a immagini e pensieri, strisciando, urlando, piangendo, gemendo.
Popolato da personaggi dolenti e tragici (c’è anche una sorta di Mirtilla Malcontenta potteriana ma assai più disturbante), The Medium è un horror che continua a inquietare anche dopo che lo schermo si è spento, che ci induce a indugiare nella sua straniante, gelida e morta bellezza di crisantemo essiccato e ci fa ripiangere, una volta terminato, la sua angosciosa poesia e la sua arte macabra di (dis)avventura virtuale.