Federico Ercole per Dagospia
La morte di Akira Toriyama è stata accolta venerdì scorso (data dell’annuncio di questa ma non del decesso avvenuto il primo giorno di marzo per un ematoma subdurale le cui cause sono ancora ignote) con una universalmente diffusa tristezza che può sembrare inspiegabile a coloro che non conoscono e non hanno amato la sua opera. Un cordoglio che ha unito un popolo di afflitti in un dolore globale, condiviso da persone comuni, appassionati e artisti con lo stesso sentimento luttuoso e incredulo, come avviene solo per i grandi miti pop, così da essere comparabile nel corso degli anni recenti a quello per leggende popolari ed emancipate dall’ufficialità della “cultura alta” come Leonard Nimoy, Carrie Fisher o Kentaro Miura.
Tuttavia gli omaggi dolenti sparsi sui social e su ogni media d’informazione sono stati per Akira Toriyama un fenomeno unico, da studiare in futuro, per la quantità e una sofferta soggettività che ha annullato l’ipocrisia, il manierismo e il gelo di tanti altri convenzionali “coccodrilli”, ovvero per i profani ad un linguaggio “giornalistico”, gli articoli spesso premeditati pubblicati in occasione dell’estinzione di una qualsiasi celebrità.
Quest’amore infranto collettivo, per un artista che da tempo e con la saggezza di un grande maestro aveva lasciato la maggior parte della sua attività agli allievi del suo studio, è la dimostrazione di quanto la sua opera, soprattutto Dragonball sia il manga che l’anime, non sia un oggetto distaccato dal suo pubblico ma con esso abbia convissuto, connesso in maniera inscindibile con milioni di vite e di emozioni, qualcosa di così balsamico e importante per moltissimi da provocare una trasfigurazione immediata di Toriyama nell’universo immaginifico e “after-life” di una grandezza assoluta che risulta comunque non remoto, ma permanente in ognuno di noi nella forma di un dolore che non è astrazione.
Qui vogliamo ricordare Akira Toriyama non per il suo straordinario e fondamentale apporto alla storia del disegno, dell’animazione e della loro scrittura , o al costume mondiale, ma per la sua importanza nell’evoluzione del videogioco come forma e modi e per la sua intensa partecipazione a quest’arte dai tempi della sua ancora timida dichiarazione come tale.
SALITA DI LIVELLO COME SUBLIMAZIONE, BOSS E MOSSE SPECIALI
Tramite Dragonball, pubblicato dal 1984, sono state fissate regole e modi ludici del videogioco giapponese prima ancora sperimentali, abbozzati. Ad esempio le mosse speciali di un’arte marziale innestata con una sorta di magia, magari già intuibili nei film orientali di genere nei quali meditazione, allenamento e spiritualità garantiscono poteri sovrumani e super eroici, sono stati soggetto di un processo di definizione e conferma oltre un possibile fenomeno di incredulità da parte del pubblico proprio con Dragonball.
Senza la “kamehameha”, la lucente onda energetica offensiva di Goku, probabilmente i lottatori dei “picchiaduro” da Street Fighter in poi, si darebbero ancora oggi mazzate convenzionali invece che “spararsi” spettacolari deflagrazioni dello spirito in multiformi prodigi cromatici. La lotta con Toriyama è andata oltre la sua implicita violenza, è diventata insieme astrazione e iperbole. E non si tratta solo di disegno, anche di scrittura.
La struttura di Dragonball è inoltre quella ancora oggi mantenuta da innumerevoli giochi d’azione e d’avventura: Goku, fin dall’infanzia deve “salire di livello” affinché sia potenziato abbastanza per sconfiggere nemici sempre più ostici; un processo di potenziamento culminante con l’acquisizione di un’abilità nuova e superiore è una costante nei anche nei videogame, così come lo scontro definitivo contro un avversario prima imbattibile.
Gli eroi di Dragonball si sublimano tramite una lunga prassi, una fatica necessaria, e nel cartone animato questa risulta più lunga e tediosa ma non per questo meno appassionante che nel fumetto. Si tratta di una pratica assai simile a quella di chi videogioca, faticando, opere che vanno dai primi giochi di ruolo giapponesi a Dark Souls, il cosiddetto ripetitivo ma infine appagante “grinding”.
Non solo quindi Akira Toriyama ha contribuito alla mutazione del fumetto e dell’animazione con l’anima rivoluzionaria della sua arte in una maniera comparabile solo a Osamu Tezuka, Hayao Miyazaki o Go Nagai prima di lui, ma ha favorito il sorgere di nuovi canoni ludici agendo “fuori” dal videogioco e ispirandolo, sebbene con il talento (amplificato sempre più dai suoi allievi) abbia dipinto alcuni tra i più grandi videogame della storia, in questo caso una rivoluzione estetica più che ludica.
DRAGON QUEST E CHRONO TRIGGER
Sono di Akira Toriyama i disegni dei personaggi e delle creature di Dragon Quest (1987), ovvero il seminale gioco di ruolo di Enix che inventò un genere ancora oggi florido, un videogame senza il quale non esisterebbe neanche Final Fantasy, per il quale fu invece successivamente fondamentale come ispirazione tematica soprattutto Nausicaa di Hayao Miyazaki. Fino al notevole undicesimo episodio Dragon Quest è inscindibile dalle idee artistiche di Toriyama e del suo Studio Bird, tanto che potrebbe risultare inconcepibile anche solo pensare un videogame di questa serie senza la lo loro visione.
Sono innumerevoli le collaborazioni per i giochi di Toriyama, escludendo qui le tante versioni videoludiche più o meno riuscite di Dragonball: i picchiaduro Tobal dove purtroppo i poligoni avari della prima Playstation nuocciono in parte al disegno, il bellissimo e sfortunato Blue Dragon che ci illuse con Lost Odissey che la Xbox 360 sarebbe stata terreno fertile per i giochi di ruolo giapponesi, il venturo e imminente Sandland tratto dal suo ultimo manga come disegnatore e scrittore. Tuttavia la sua determinante partecipazione è connessa soprattutto a quel capolavoro assoluto che fu Chrono Trigger (1995), gioco di ruolo sul tempo e attraverso i tempi.
Nel corso di questa lunga deriva cronologica dalla preistoria al futuro, è possibile raggiungere, durante uno dei finali, un luogo oltre lo spazio e il tempo, una stanza dove incontrare gli artisti che hanno collaborato alla realizzazione di questa meravigliosa ed inestinguibile avventura. Insieme all’inventore di Final Fantasy Hironobu Sakaguchi, al musicista Nobuo Uematsu, a Yuji Hori di Dragon Quest, c’è anche un Akira Toriyama di pochi pixel ed è possibile “parlargli”.
Ricordiamo le sue parole grazie ad un prezioso screenshot pubblicato dallo storico dei videogiochi Damiano Gerli che lo ha pubblicato per ricordare Toriyama. “Hey Sasuke e Kikka!” dice i simulacro del disegnatore rivolgendosi ai figli, “ papà sta lavorando ad un videogioco così! Ragazzi, state guardando? Non è grande?”. Un’ immagine oggi struggente e metafisica, un residuo di vita, un barlume di infinito, nell’eternità relativa e virtuale di un videogioco.
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