Federico Ercole per Dagospia
Il remake per Switch Nintendo di Link’s Awakening, quarta Leggenda di Zelda, provoca sovrimpressioni tra memorie videoludiche: il bianco, nero e grigio originale del 1993 quando uscì per Game Boy, le tinte tecno-pastello della riedizione per la versione GB Color e infine i cromatismi pupazzeschi di questo rifacimento si confondono in una monodia tra presente e ricordo, perché tra l’oggi e il passato cambiano le forme e le loro sfumature, ma quasi nulla dell’esperienza e il gioco dell’avventura risulta quasi immutato.
La nuova versione di questo classico ripristina infatti le dinamiche ludiche ormai ancestrali dell’originale, ribadendo il loro valore giocoso e confermandolo, aggiungendo poco e sottraendo quasi nulla. Tuttavia tutto il resto muta, permane la sostanza ma la forma è stravolta in una maniera dolce e drastica, proponendo una nuova estetica “super-deformata” dalla fattura deliziosa.
L’isola di Koholint, con le sue foreste, i suoi villaggi, i deserti, le spiagge, i monti e tutti i suoi abitanti buoni, buffi o mostruosi sembra un immenso plastico di pongo, gomma e fluidi costruito da bimbi dell’asilo dal genio demiurgico; così che se il remake in questione è bello da giocare lo è altrettanto da ammirare, sia da chi gioca la prima volta quest’epopea onirica e insulare, sia da chi già la esperì che può godere inoltre del gioco delle corrispondenze e della memoria.
UN’ISOLA DA SOGNO E DA INCUBO
Link’s Awakening si svolge subito dopo gli eventi narrati in Legend of Zelda Link to the Past, una sorta di seguito in una saga dalla cronologia confusa e alterata. L’eroe verde-vestito con le orecchie a punta questa volta è lontano dalla sua Hyrule, naufragando sulle rive di un’isola esotica dominata da un alto monte vulcanico sulla cui vetta si erge un gigantesco uovo al cui interno dorme il Pesce dei Venti. Solo il risveglio di questa divinità ittica, ci spiegheranno la tenera e armonica Marin che soccorre Link sulla rena e un gufo parlante, può garantire all’eroe il ritorno a casa. Prescelti dunque per risvegliare la creatura assopita iniziamo una lunga avventura alla ricerca degli otto strumenti per suonare la melodia magica e togliere il sonno al Pesce mistico.
Viaggiamo dunque per l’isola combattendo contro creature mai troppo spaventose ma comunque pericolose esplorando e memorizzando una complessa mappatura le cui zone non sono mai accessibili da subito, potenziamo l’eroe con attrezzi e nuovi accessori, raccogliamo gli oggetti necessari a dare il via ad una fondamentale rete di scambi con i locali umani, animali o favolosi.
L’azione è bipartita tra la superficie dell’isola con i suoi vari habitat e i labirintici “dungeon” la cui navigazione diventa sempre più difficile a causa degli enigmi proposti più che per i nemici da affrontare.
Chi si augurava che nel remake mancassero le “infami” e noiose teste di cavallo da posizionare verticali non sarà felice di ritrovarle anche qui (pochissime volte, non temete), ma dopo le inevitabili imprecazioni della prima volta che capitano nel sesto labirinto si intuisce la fisica su cui sono fondati i loro movimenti e piazzarle nella posizione giusta diviene elementare.
C’è inoltre un’altra parte complessa e noiosa perché vagamente frustrante, nell’ultimo “dungeon”, utile a recuperare la Chiave dell’Incubo che apre la caverna del “boss”, tuttavia dopo numerosi ma non troppi tentativi si riesce a muovere correttamente quel maledetto ponte mobile. Questi due rari momenti (gli unici che hanno messo in difficoltà chi scrive) rimandano alle difficoltà di certi giochi del passato, quale d’altronde l’originale è, tuttavia Link’s Awakening non è un gioco difficile sotto il profilo dell’azione ed è dunque consigliabile anche ad un pubblico giovanissimo, soprattutto quello più assuefatto alle ritmiche ossessive, alle sgradevoli prassi economiche e alla bruttezza in generale di un Fortnite.
IL PANORAMA DEI SUONI
Oltre alla grazia giocattolosa della sua estetica, il remake di Link’s Awakening possiede un altrettanto meravigliante panorama sonoro, alimentato da musiche bellissime, buffe o gravi, epiche o intimistiche e da rumori che restituiscono uno straniante realismo e insieme la stessa qualità di balocco delle immagini.
La qualità della colonna sonora è dovuta soprattutto all’orchestrazione delle musiche, molte delle quali ormai celeberrime, pensata per un organico ridotto di musicisti, una piccola orchestra da camera che fa risuonare con chiarezza ogni timbro dei suoi strumenti. Oltre a corrispondere al racconto del videogame con il suo ottetto di strumenti magici, la colonna sonora fornisce il substrato emozionale, l’anima, alla plasticità incantevole di personaggi e panorami, che risultano così “vivi” di una vita non così diversa da quella dei giocattoli di Pixar.
“IO E TE IN FONDO SIAMO LA STESSA COSA...”
Ce lo dice uno dei cattivi (ma sono poi davvero malvagi?) verso la fine del gioco. Ma cosa condivide la tetra figura destinata alla sconfitta con Link? Meglio tacere, perché sarebbe ingiusto rivelare a chi lo giocherà la prima volta l’ispirato colpo di scena che tramuta Link’s Awakening in una profonda riflessione sulla realtà.
Ma come in ogni leggenda di Zelda anche il giocatore e Link diventano la stessa cosa, si realizza ancora una volta quel “legame” (il significato di “Link”) che rende unica la relazione che si instaura tra l’eroe e chi lo muove. Non c’è distacco alcuno, c’è invece una connessione potentissima, senza il rapporto tra burattino e burattinaio che si esperisce in tanti altri videogiochi.
Legend of Zelda Link’s Awakening era un videogame d’eccezione e lo è ancora oggi, ridipinto, sempre di più. Non lasciatevi scoraggiare da qualche cedimento tecnico minimale e si spera correggibile ( cali di frame-rate che provocano sporadici rallentamenti) anche perché magari non ve ne accorgete neanche, e di sicuro non penalizzerà in alcun modo l’esperienza del videogioco.
Tra le più struggenti delle Leggende di Zelda, sebbene illusoriamente una delle più leggere e comiche, Link’s Awakening è come un lungo sogno che ci ricorda, mentre giulivi lo sogniamo, l’inevitabilità del risveglio e la sua necessità. C’è tristezza in questo, ma anche tanta bellezza, quella della verità.