Federico Ercole per Dagospia
Durante l’E3 di Los Angeles del 2015, Square-Enix presentò il primo trailer del remake di uno dei videogiochi più amati della storia, la settima e definitiva Fantasia Finale che uscì originariamente per la prima Playstation nel 1997.
Rigiocando oggi alla riedizione dell’originale appena distribuita per Nintendo Switch, soprattutto nella sua immensa-ridotta forma portatile, sorge spontaneo interrogarsi sulla necessità di un rifacimento, la cui produzione si sta inoltre “eternando”, scivolando vieppiù tra le nubi dell’incerto.
Perché ancora oggi Final Fantasy VII è un capolavoro e basta cominciarlo per essere di nuovo catturati dopo pochi minuti tra le sue apocalittiche trame, smarrendosi nella sua epica disperata, sublimati dalle sue musiche ed esaltati dalla profondità delle sue dinamiche ludiche così funzionali da essere perfette.
Invece di investire un capitale immenso in un progetto così ambizioso come questo remake che ci appare quasi utopico, forse sarebbe convenuto a Square-Enix un approccio più leggero, migliorando i modelli poligonali dei personaggi dell’originale, ritoccando gli scenari pre-renderizzati e lasciando l’anima giocosa di Final Fantasy VII intatta. Un investimento assai meno oneroso in termini di tempo e denaro, ma probabilmente produttore di un guadagno mostruoso.
Oppure i suoi autori avrebbero potuto senza ignominia lasciare la settima fantasia così com’è, dimostrando che le opere d’arte non invecchiano mai e che il videogame non è solo oggetto tecnologico, destinato quindi all’obsolescenza con l’evoluzione degli hardware, ma vitale, unico e universale come un quadro, un poema o un film considerati nella loro storicità.
PER SALVARE IL PIANETA
Final Fantasy VII è oggi ancora più attuale di quando uscì e può intrattenere un fecondo rapporto dialettico con le nuove generazioni, quelle che si sono unite sotto la bandiera di una ragazza di 16 anni per ribadire la loro volontà di salvare la Terra da politiche non-ambientalistiche insulse, limitate ed egoistiche oppure mendaci e spacciate per ecologiche.
Nel videogioco in questione, ambientato in un mondo fittizio, combattiamo a fianco di un gruppo di “terroristi” ambientalisti che si oppone alla Shinra, una multinazionale che utilizza l’energia vitale del pianeta, prosciugandola per alimentare la propria industria e le case dei ricchi, perché i poveracci vivono invece in trasandati ghetti. La nostra prima impresa sarà proprio quella di fare deflagrare un dei reattori responsabili di questo vampiristico risucchio e durante il gioco scopriremo che il Pianeta è vivo e si opporrà alla propria distruzione in maniera drastica.
Siamo tra il punk e una fantascienza che fa suo, mutandolo, quel poco di buono che c’era in un movimento superficiale come quello della New-Age, tuttavia l’allegoria di Final Fantasy VII è potente, rivelatrice e propedeutica per formare una nuova coscienza che non si adegui senza opporsi ai crimini perpetuati verso il proprio pianeta.
Ma Final Fantasy VII non è solo un fantasioso trattato ecologico, è un’epopea moderna, quindi contenitore straripante di storie, idee e concetti. Vi è lo struggimento sulla propria identità che ci farà sprofondare nel subconscio tormentato e ingannevole del biondo Cloud; la micidiale follia distruttiva di Sephiroth, l’antagonista più carismatico che sia mai stato inventato in un videogame; amnesia e anamnesi; dannazione e redenzione. E la domanda fatale, soprattutto se posta da un personaggio di un videogioco: può un burattino emanciparsi dal suo ruolo, ribellarsi al suo burattinaio? Diventando così una oltre-marionetta, quasi come l’oltre-uomo di Friedrich Nietzsche.
ANCHE I PERSONAGGI DEI VIDEOGIOCHI POSSONO MORIRE (ATTENZIONE ALLO SPOILER)
Meglio avvertire sebbene si parli di un evento che è noto quanto il fatto che Darth Vader sia il padre di Luke. Tuttavia ci sarà senza dubbio qualcuno che non ha mai giocato a Final Fantasy VII ma qui si tratta di un colpo di scena che non è solo teatrale, bensì teorico e quindi fondamentale per ribadire la grandezza ludica ed extra-ludica dell’opera di Kitase-Nomura-Sakaguchi.
In una fase avanzata di Final Fantasy VII viviamo uno dei momenti più drammatici che un giocatore possa sperimentare, quello dell’estinzione definitiva di uno dei protagonisti. Si tratta di un gioco di ruolo giapponese classico, quindi utilizziamo diversi personaggi uniti in una compagnia e abbiamo già trascorso ore a farli salire di livello, facendo apprendere loro incanti e mosse speciali. Inoltre si è stabilito un rapporto empatico molto forte con il personaggio in questione, ovvero Aerith, la fanciulla dei fiori.
Ad un certo punto, con un breve ed esemplare filmato in computer-graphic, vediamo Sephiroth affondare la sua lunga katana Masamune nel corpo della giovane ragazza ed ella muore, non c’è modo di salvarla. E’ un momento traumatico che sconvolge, che determina un umore che permarrà per tutto il resto del gioco, che ci insegna che persino nei videogame, come in qualsiasi altra forma di narrazione e rappresentazione, la morte è inevitabile e il male non sempre può essere sconfitto.
Subito dopo la morte di Aerith c’è un lungo combattimento contro un “boss” ma la musica che ascoltiamo non è quella della battaglia, perché il tema della ragazza permane, continuando a straziarci, ricordandoci la sua estinzione, ribadendola con poesia e crudeltà insieme. Mai prima di allora abbiamo sentito con tanta suggestione di “essere” dentro a un videogame e la distanza tra giocatore e personaggio giocato è quasi azzerata dal “dolore” provato in entrambi i mondi, quello reale e quello virtuale.
GESAMTKUNSTWERK
Wagneriana opera d’arte totale, che brilla oscura dell’insieme di tutte le sue parti artistiche, Final Fantasy VII è narrazione, musica sublime, disegno ardito, teatro partecipativo (siamo noi gli spettatori-attori nel suo palco numerico) e cinema, perché i suoi brevi e avveniristici filmati in computer-graphic sono ancora oggi grande cinema, frammento puramente visionario inserito con grazia e maestria diegetica nella corrente dell’interattività.
Un cinema che esplose nell’eccezionale (altro che cine-comic) lungometraggio del 2005 Final Fantasy VII Advent Children, film estremo e fondamentale per una cinematografia rivoluzionaria e non stagnante del nuovo secolo che Marco Muller, con raffinata e intelligente sensibilità, programmò per due anni di seguito alla Mostra del Cinema di Venezia, un anno la prima mezz’ora, quello dopo la versione integrale. Ora lo potete recuperare in dvd o blue-ray, nella sua forma ulteriormente espansa, e funziona da sequel del videogioco.
Ci vogliono decine di ore per terminare la settima fantasia finale, anche più di cento se decidete di potenziare al massimo i personaggi, di completare le imprescindibili missioni secondarie, di fermarvi ad ammirare i dettagli di ogni scenario e ascoltare la musica di Nobuo Uematsu che connette i panorami alla psiche.
Final Fantasy VII ci emancipa, pur essendo industria, dall’industria-mostro e come convinse allora che i videogiochi non sono solo scaccia-pensieri continua a farlo ancora oggi con immutato vigore, con la forza unica della sua tragedia, con la sua immutabile bellezza.