Federico Ercole per Dagospia
Kratos, migrante tra i miti, non ha più nulla di divino, neppure la sua forza brutale che malgrado le iperboli è terrena, rocciosa, mossa da sentimenti di dolore e furia disperata; sulle spalle vigorose quanto vetuste del Fantasma di Sparta esule in un nord leggendario non poggia il peso universale e astratto sorretto da un Atlante ma il grave fardello umano dei sensi di colpa lancinanti, dell’amore, del lutto e della consapevolezza (la necessità?) della propria fine.
Kratos è un “dio della guerra” che ha abiurato, che ha ripudiato il suo passato di guerriero divenuto nume e assassino di numi, non un super eroe ma un superuomo in un’accezione che non è neppure quella di Nietzsche, un “oltreumano” come avrebbe potuto immaginarlo Sam Pekimpah o come il Conan di John Milius ricordato nel lungo piano fisso che illustra il protagonista turbato e riflessivo con cui comincia la nuova epopea dell’ellenico straniero in terra straniera.
Così, costretto alla violenza dal destino e dalla sua stessa qualità, dal suo essere, percepiamo in ogni combattimento di Kratos l’ebbrezza e la sofferenza, il piacere e lo struggimento in una sfrenata esaltazione che non esclude la disperazione, il rifiuto. Kratos non ha maschere se non quella che gli appartiene per retaggio, quella della tragedia.
Si resta travolti di fronte al titanismo e al lirismo di God of War Ragnarok, la definitiva avventura nordica di Kratos per PlayStation 4 e 5, videogame straordinario tra i videogame straordinari di questo anno, opera immensa per estensione, densità, contenuti ludici e artistici che sarà inevitabile non ricordare come pietra miliare, la sublimazione del gioco d’azione e d’avventura come lo fu Legend of Zelda Breath of the Wild, sebbene quest’ultimo nelle regioni del “mondo aperto” e in una prospettiva narrativa e dell’intrattenimento assai diversa, persino opposta all’opera di Santa Monica Studio.
God of War Ragnarok, così come il suo predecessore del 2018 e ancora di più, non è affatto solo la storia di Kratos ma di suo figlio adolescente e anche del decollato Mimir che egli si porta seco, una storia raccontata in un romanzo generazionale inserito in un fluviale piano sequenza interattivo di decine di ore, una riflessione sui tempi della vita, sui rimpianti e sulla speranza. E c’è tutto il solenne e miserabile pantheon nordico: Odino, Freya o Thor finalmente non come quello di Marvel.
L’AVVENTURA DI TUTTI
Si può scegliere come giocare God of War Ragnarok con un’estrema varietà di opzioni, può essere un videogioco davvero ostico come immediato e facilissimo, senza che nessuno degli approcci sia penalizzato. Non sono mai stato d’accordo sul selettore delle difficoltà nei giochi “souls” di From Software ad esempio, ma il modello delle opzioni di God of War mi ha spinto a dubitare delle mie convinzioni, perché chi vi cerca una sfida complessa la può trovare in combattimenti tecnici quanto frenetici durante i quali non si può sbagliare un colpo ma, al contempo, chi vuole godersi solo lo spettacolo libero dalle fatiche in una vita già faticosa può comunque appassionarsi senza punizioni a questo capolavoro per PlayStation.
Insomma God of War Ragnarok risulta per questo universale e malgrado la sua violenza (contro creature sovrannaturali o odiosamente “divine”) è consigliabile anche ad un pubblico di ragazzi e adolescenti, tanto che il divieto ai minori di 18 anni (come Grand Theft Auto V o The Last of Us 2!) mi appare esagerato, considerate inoltre le innumerevoli riflessioni etiche dell’opera in questione, la sua sceneggiatura che trascorre dalla vergogna di un vecchio per i propri errori alla poesia greca, dalla genealogia dei giganti alla differenza tra le parche e le norne, dall’ineluttabilità del destino alla volontà della sua sconfitta.
God of War Ragnarok comincia laddove terminava il primo episodio della saga norrena di Kratos, un vento gelido noto come “finbulwinter” annuncia il crepuscolo degli dei. Comincia quindi un viaggio che non cessa mai di meravigliare, portandoci in terre ghiacciate o paludose, in giungle che mutano alla luce del sole e della luna, tra deserti ventosi dove volano bellissime e gargantuesche meduse eteree, fino all’empireo. Le aree che compongono Ragnarok sono estese e stratificate, ricchissime di storie e suggestioni, straripanti di pericoli ed enigmi, sempre meravigliose da guardare e navigare persino sulla vetusta PlayStation 4 dove il gioco comunque funziona assai bene.
È importante smarrirsi in God of War Ragnarok, assecondare le suggestioni delle sguardo che ci suggeriscono la possibilità di andare alla deriva, c’è sempre qualcosa da fare e scoprire, che sia un mistero, un terribile nemico, una storia.
ARTE MARZIALE
I combattimenti di God of War sono eccezionali da giocare, restituendo inoltre immagini e suoni gravi e spettacolari, epici e violenti, qualunque delle tre armi a disposizione di Kratos si utilizzi: l’ascia detta Leviatano, le roteanti e fiammanti Lame del Caos e un’ultima che lasceremo scoprire. Già esaltanti quanto “Heavy Metal” nel precedente videogioco, qui le lotte sono variate da nuove animazioni e da un risuonare ancora più potente amplificato su PS5 dalle vibrazioni sinfoniche del controller.
Anche il bestiario è notevolmente aumentato, arricchendosi di innumerevoli creature maestose o spaventose. Gli enigmi, per lo più ambientali, sono affascinanti persino quando tendono a ripetersi nel modello, una sfida per l’ingegno e l’abilità anche questa moderabile.
È difficile trovare difetti in God of War Ragnarok, forse può annoiare qualcuno la continua aggiunta di missioni opzionali che segmentano la narrazione principale, ma queste molteplici attività sono affascinanti e gratificanti così che sarà per lo più categorico volerle completare, anche solo per restare ancora a lungo in questo mondo dai panorami visivi e sonori magnifici, per naufragare nelle sue narrazioni senza cedere alla necessità dell’urgenza.
Opera d’arte colossale e intimista del pathos e talvolta dell’ethos, God of War Ragnarok trascende il suo medium, sebbene sia un videogame eccezionale da giocare, un capolavoro romantico in cui violenza e potere sono messi in crisi e l’autorità massima, il destino, è il nemico definitivo, il mostro da sconfiggere affinché l’umano resti umano, anche all’ombra della morte.
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