Federico Ercole per Dagospia
Sono truculenti e bellissimi nella loro “antichità” moderna i pochi pixel che compongono le due dimensioni teatro di Katana Zero, videogame programmato da Justin Stander con il suo piccolo studio Akiisoft, uscito per PC, macOS e Nintendo Switch e pubblicato da quella fucina di meraviglie “indie” che è Devolver Digital.
E se la forma di quest’avventura, cupa e allucinata come le pagine più lisergiche e disperate di Philip K. Dick, è quella dei giochi dei primi anni ’90, la sua sostanza ludica è solo superficialmente connessa a quell’era del videogame, risultando persino nuova, sebbene vi si intravedano delle reminiscenze di Viewtiful Joe di Capcom e di Manhunt di Rockstar nel rapporto teorico e meccanico con l’immagine del cinema e dell’home-video, in questo caso quella obsoleta del VHS. Inoltre nella narrazione ermetica e non lineare di Katana Zero ci sono ricordi delle invenzioni narrative di Suda 51, Hidetaka Suehiro e Hideo Kojima, laddove questi due autori sono più vicini alle visioni di cineasti come Bunuel, Lynch o Tsukamoto.
Sono necessarie poche ma intense ore per completare Katana Zero, venduto a 15 euro circa “only digital”, ma è un viaggio delirante quanto tecnico tra gioco puro e narrazione sperimentale che merita di essere vissuto, ricordandoci ancora una volta, come tante altre opere in pixel-art, che il videogioco non è solo tecnologia in evoluzione verso una grafica iper-realistica, ma arte, e come tale, qualsiasi forma esso abbia, non invecchia mai.
IL TERZO DISTRETTO
Katana Zero si svolge in una ucronica realtà alternativa, in una metropoli che può essere San Francisco, Tokyo, Kuala Lumpur o quella di Dark City di Alex Proyas, non importa, ma il tempo è quello degli ultimi due decenni del secolo scorso e nelle case ci sono le tv con il tubo catodico e i videoregistratori. Qualcosa è andato storto in seguito ad una guerra solo vagamente accennata e la città è divisa in distretti in base allo stato sociale degli abitanti. Il protagonista, che sembra uscito da un film di samurai con il suo kimono e la sua spada risultando surreale in una maniera lirica e onirica , abita nel terzo distretto, un vero e proprio ghetto.
Qui, dove piove sempre, incubo metropolitano peggio della Gotham City più oscura, l’ acqua potabile è gravemente inquinata, i ponti crollano distruggendo vite e edifici, si accumula il sangue delle stragi. Il responsabile dei massacri, ovviamente di cattivi (ma il concetto del bene e del male è allucinato come tutto il resto), siamo noi che giochiamo: il nostro protagonista è un sicario e le missioni omicide gli vengono affidate dal suo psichiatra, insieme alle droghe per tirare avanti.
Il racconto è sempre ambiguo e alterato da traumi, sogni, ricordi rimossi, potenti sostanze narcotiche che possono alterare il corso del tempo, fermarlo per sempre, riavvolgerlo. Non sappiamo se i personaggi strambi e spettrali, le uccisioni, quella dolce bambina della quale ci prendiamo cura, i vicini di casa stra-fatti con la musica assordante o quel senzatetto che ci insulta sono veri o il frutto di un delirio eterno che affligge la mente del protagonista; non sappiamo neanche se egli sia davvero quell’inattuale samurai o qualcun altro, addormentato in un incubo senza risveglio. Ma la follia dell’intreccio amplifica, grazie anche ad una musica elettronica tecno e fanta-industriale davvero suggestionante e ispirata, la qualità artistica di Katana Zero ed esalta quella ludica, perché oltre il racconto c’è un’azione sfrenata, riflessiva e appassionante.
UNA VITA SOLA
Basta un errore solo per morire, ma non temiate, non è così drammatico perché d’altronde è sufficiente riavvolgere il nastro e dopo pochi secondi possiamo ripetere il livello, memorizzando ogni errore commesso in precedenza per avere successo. Bastano due o tre tentativi e si supera ogni difficoltà. Katana Zero non è ostico come altri giochi del passato e non è nemmeno lontanamente paragonabile a un Cuphead o a un Sekiro, sebbene da questi così lontano, tuttavia rappresenta una valida sfida, bene equilibrata tra complessità e facilità.
Attraversiamo suggestivi e sempre macabri scenari metropolitani, carceri, alberghi o sotterranei, eliminando sgherri nemici con un colpo della nostra katana o sfruttando le risorse che troviamo sparse per i livelli; se basta un colpo dei nemici dall’intelligenza e aggressività impressionati per eliminarci, possiamo tuttavia rallentare il tempo e così le loro azioni per deflettere un proiettile o aggirarli con una capriola. Una volta completato con successo un segmento di gioco possiamo rivederlo in un replay in bianco e nero che ci consente di ammirare le nostre prodezze e di goderne da esteti. A segmentare l’azione ci sono momenti di racconto interattivo e dialoghi, mai troppo lunghi ma esemplari nella loro poesia del paradosso, del grottesco e addirittura del tenero.
VIDEOGIOCO DA CAMERA
Katana Zero e tanti altri giochi indipendenti o quasi, come questo che comunque ha un distributore, stanno ai colossal del videogame contemporaneo come la musica da camera sta alla sinfonia e soprattutto al grand-opera. Si tratta quindi di opere che un appassionato di videogame non dovrebbe trascurare, sarebbe come se un melomane non ascoltasse un trio per archi di Franz Schubert, una sonata per pianoforte di Beethoven o la Kreisleriana di Robert Schumann perché composte per un solo musicista o per un organico ridotto.