Federico Ercole per Dagospia
“Che cosa dice la mezzanotte profonda?” domandava Zarathustra agli esseri umani. “Il mondo è profondo, assai più di quanto il giorno pensasse e profondo è il suo dolore”. Ricordo queste parole di Friedrich Nietzsche, nella loro versione musicata da Gustav Mahler, che senza dubbio alcuno invece non considera e non conosce il giovane che controllo con le mie vecchie e saccenti dita di giocatore adulto e “maturo”; il silenzioso protagonista di Persona 3 Reload, uno studente orfano, medita altro, pensieri a me ignoti, remoti o incomprensibili quando si muove al buio verso il suo dormitorio per le strade dell’isola portuale di Tatsumi mentre nelle tenebre sorgono verticali ed eteree bare in un panorama macabro e surreale.
C’è ormai uno scollamento sempre più radicale tra me che gioco e i ragazzi della serie giapponese Persona di Atlus, quello di un adulto verso i giovani, una distanza che non è disapprovazione ma è al contempo di rimpianto e di paternalismo, tanto che sorge spontanea la volontà di una raccomandazione, di un consiglio che per la loro natura ribelle essi rifiuterebbero. Poi dopo poche ore intuisco che sono questi giovani che mi controllano, cedo allo scorrere implacabile del tempo del videogame che qui è lo stesso della vita e mi faccio controllare, lieto, in un’illusione di gioventù, nel ricordo di un passato durante il quale saremmo stati coetanei.
“La gioia è ancora più profonda del dolore”. È questa la potenza suggestiva, un po’ “proustiana”, dei videogame Persona giocati durante una presunta maturità, una malia che si rinnova anche nella rivisitazione del terzo episodio, Persona 3 Reload uscito per PlayStation, PC e XBox, un’opera i cui significati e valori artistici ludici variano in maniera drastica secondo l’età in cui la si esperisce ma che non perde mai la sua potenza e il suo impatto, sempre edificante malgrado le oscurità, sulla psiche.
L’ORA BUIA
Persona 3 Reload è il racconto di un anno di scuola tra realismo e incubo. Comincia in primavera perché è in quella stagione che inizia il calendario scolastico giapponese e per dodici mesi, secondo un calendario spietato, seguiamo la sua ritmica. Di giorno si va a scuola, si gestiscono i rapporti sociali e si seguono le lezioni con indolenza o impegno. Ma di notte ecco scoccare le 12 e manifestarsi un’ora anomala durante la quale forze oscure si nutrono degli ignari dormienti, spingendoli a depressioni, volontà di dissolvimento e amnesia.
Solo il protagonista e pochi altri suoi compagni sono in grado di resistere al fenomeno e combatterlo, evocando la propria “junghiana” Persona, fenomenali creature in grado di opporsi alle ombre e di sconfiggerle. Per evocare la propria Persona è necessario un gesto drastico tuttavia, quello di una mimesi del suicidio, un atto che può risultare sconvolgente ma che è solo simbolico, assai meno radicale o pericoloso per il rischio di una velleitaria emulazione di quello del povero Werther di uno dei capolavori di Johann Wolfgang Goethe, che comunque si studia a scuola, o almeno si studiava.
A questo punto i ragazzi dovranno esplorare l’alta, smisurata Torre del Tartaro per scoprire la causa prima dell’ombra e a loro modo salvare il mondo dalla fine combattendo a turni in battaglie “classiche” secondo le regole del gioco di ruolo giapponese delle origini, scontri qui “svecchiati” rispetto all’originale e più spettacolari, sebbene mi siano parsi più elementari anche se tattici e gratificanti. Inoltre la difficoltà di Persona 3, e qui più che nel quarto e quinto episodio che sono meno dicotomici e più organici, consiste nel vivere quotidiano, nella “realtà”.
È fondamentale quindi gestire i propri rapporti con gli altri, rispettare le scadenze o espletare i propri doveri di studenti per migliorare statistiche determinanti anche per il combattimento. Ribadisco, anche negli altri Persona è così, ma in questo rifacimento risulta più estrema la divergenza tra naturale e sovrannaturale, che sono meno diffusi, così la vita è soprattutto l’allenamento per il sogno. Ma può essere una questione soggettiva, d’altronde i Persona sembrano dialogare sempre con un soggetto, non con un pubblico, con un “paziente” e non con un critico.
L’ARTE DELLA NOTTE
Lo stile di Persona 3 Reload (così come quello del quarto e quinto episodio) sono un esempio rilevante di arte contemporanea che si diffonde per tutto il gioco, negli spazi e nei menù, nel disegno delle creature e nelle interfacce, nelle musiche e nei suoni. Può dispiacere oggi, abituati alla varietà concettuale e ludica dei Palazzi di Persona 5, che il Tartaro sebbene ridisegnato nelle sue architetture procedurali risulti alla lunga poco stupefacente da esplorare.
Si potrebbe pensare che Persona 3 Reload sia un gioco grave e disturbante, ed in effetti lo è, ciò non toglie che sia anche una travolgente e appassionante esperienza ludica, un gioco di ruolo giapponese (grande periodo per il genere) di una serie esemplare che si emancipa da tutte le altre per la sua originalità con una sublime e diabolica dissonanza.