Federico Ercole per Dagospia
Non siamo che “vermi imperfetti e vil famiglia” in quel corpo di “animal grande e perfetto” che è il mondo, inconsapevoli della sua natura come una tenia nel ventre dell’uomo lo è dell’intelletto di chi lo ospita nel suo intestino. Così è per Tommaso Campanella ed è inevitabile non sentirsi minuscoli e ignoranti parassiti anche all’inizio di Xenoblade Chronicles, epico e filosofico gioco di ruolo di Tetsuya Takahashi e Monolith Soft, perché vi abitiamo gli immoti, colossali cadaveri di due antichi dei periti dopo una tenzone durata milioni di anni.
Tuttavia dal leggendario Xenogears fino alla trilogia di Xenosaga, Takahashi ha sempre dimostrato il suo amore per Friedrich Nietzsche, cosicché noi “vermi” tendiamo all’oltre, cominciando un lungo viaggio che ci porterà all’anamnesi, a valicare i limiti dell’umano e alla realizzazione della nostra volontà di potenza di giocatori.
Xenoblade Chronicles è anche un asimoviano Viaggio Allucinante dentro e fuori il corpo di un dio morto, ma qui non c’è claustrofobia perché le membra immote della divinità ospitano interi ecosistemi, fauna e flora, villaggi e metropoli, ampie caverne e fitte selve, laghi e fiumi. Bionis si chiama il nostro corpo-mondo e purtroppo c’è anche l’altro, detto Mechanis, da dove giungono macchine senzienti e antropofaghe con lo scopo di sterminare la vita biologica.
IL TITANISMO DEL PANORAMA
È evidente fino dalle prime derive per l’amena gamba fronzuta di Bionis il perché Nintendo abbia scelto la collaborazione di Monolith Soft nel disegno del mondo di gioco vastissimo ed irripetibile di Legend of Zelda Breath of The Wild. Già nello Xenoblade originale le ambientazioni risultarono tra le più grandi, varie e suggestive mai esplorate e oggi rifulgono di una nuova e maestosa bellezza nella versione definitiva, ricomposta, ampliata e restaurata di questo gioco di ruolo giapponese imprescindibile, uscita per Switch Nintendo.
I panorami, sebbene per ovvi motivi non siano al vertice tecnologico, meravigliano più di tanti scorci in 4K realistici ma poco ispirati, inoltre la profondità di campo ci induce ad osservare le altre lontanissime membra di Bionis e del suo avversario Mechanis in visioni vertiginose. Viaggiare è il fulcro ludico e avventuroso di Xenoblade, un’esplorazione che rivela sempre luoghi nuovi, segreti e sorprendenti, abitati da specie animali che si muovono in una mimesi di vita plausibile.
Attraverso centinaia di missioni secondarie (forse troppe si potrebbe pensare, ma non è così) avremo l’occasione di conoscere gli abitanti di Bionis così che i suoi spazi risultino ancora più “veri” e, nel contempo, assecondando le richieste dei committenti, perlustrare a fondo ogni regione. Rispetto l’originale del 2009 completare le innumerevoli missioni secondarie risulta più immediato e, sebbene molte di queste abbiano dei presupposti narrativi elementari, ce ne sono anche di più elaborate e rivelatrici.
La trama principale, articolata in un pellegrinaggio da Bionis a Mechanis brandendo una spada reliquia tecno-mistica e arricchita da un lungo episodio inedito, mantiene le speculazioni umanistiche e la profondità introspettiva consueta nei lavori di Takahashi, fantasy contaminato da una fantascienza potente, tra Jack Vance, Dan Simmons e Hideaki Anno.
I protagonisti non possiedono il carisma unico di quelli di Xenogears o Xenosaga, tuttavia sono tutt’altro che banali e il loro spessore di caratteri aumenta durante le oltre cento ore di gioco, amplificato da tragici e teatrali colpi di scena e dalla meravigliosa, straripante colonna sonora composta da maestri come Yasunori Mitsuda e Yoko Shimomura.
LA LOTTA CONTRO IL METALLO
Si combatte per la sopravvivenza di uomini e Nopon (creature tondeggianti e tenere che ricordano il Pokemon Chansey), gestendo gli attacchi e la difesa di un team di tre personaggi, decidendo tuttavia le mosse di solo di questi, salvo in rare occasioni, mentre gli altri due membri sono gestiti da una precisa intelligenza artificiale. Il sistema di combattimento, dinamico e appagante nella sua strategia, rimanda vagamente a quello di Final Fantasy XII con i suoi attacchi e incanti automatici e non, ma quello di Xenoblade è più sofisticato a causa del rapporto che si edifica tra i personaggi e per la possibilità di spossare il nemico, farlo vacillare e infine stordire per infliggergli danni devastanti.
A causa della varietà di nemici robotici e animali combattere non annoia mai e può risultare inoltre un’attività persino subordinata all’esplorazione. Gli scontri con i fenomenali e malvagi “boss” di Mechanis, grandi robot con un volto e una voce, a differenza di tutti gli altri esemplari, sono impegnativi se si giunge impreparati ma non frustranti, anzi esaltanti sull’onda emozionale della narrazione.
Gioco di ruolo giapponese che dimostra insieme agli altri caposaldi del genere come questo modello ludico di narrazione sia una forma nuova dell’epopea, Xenoblade Chronicles Definitive Edition è materia giocosa che può occupare gli spazi della prossima e probabilmente strana estate dell’incertezza pandemica, scagliandoci nel favoloso con la sua longevità; e aprire, soprattutto se giocato in modalità portatile e con gli auricolari, un fantastico squarcio nel reale dove dimenticare, per qualche tempo, i dubbi e le paure di questi mesi malati.