Michela Ag Iaccarino per il “Fatto quotidiano”
"Combattiamo per un futuro più giusto per i lavoratori". La lotta politica si è insinuata tra i fili dei loro computer, tra sistemi ed algoritmi a cui lavorano imperterriti. Sono nerd dai capelli rosa, blu, verdi spesso con gli occhiali sul naso. Il pugno disegnato in bianco sulla loro bandiera nera stringe un joystick e la scritta dice Game workers unite.
Contro orari disumani di lavoro, totale assenza di diritti, salari bassissimi e precari, è nato il sindacato dei lavoratori dei videogiochi. Sono ingegneri, disegnatori, matematici, grafici, programmatori che, coraggiosi, si stanno unendo da un lato all' altro del mondo nell' universo spietato dei colossi digitali, per evidenziare il costo umano invisibile pagato nel settore.
Per produttori dei videogiochi ci sono milioni di dollari di profitto per un commercio massivo e globale in piena espansione dalla sua nascita. Ma dietro la patina ludica di pixel fluorescenti e livelli da superare dei videogiochi si nasconde sfruttamento e violenza, intrattenimento per i compratori e disumanità per gli impiegati: costretti a lavorare senza sosta anche 70 ore di seguito per 13 dollari l' ora, disegnatori e programmatori vengono licenziati appena i giochi vengono immessi sul mercato, facendo fruttare, come nel caso del videogames "Call of Duty", anche 500 milioni di dollari di profitto alle case di produzione solo nei primi giorni d' uscita.
"Ogni gioco che ami è costruito sulle spalle dei lavoratori, i creatori di videogiochi sono in burn oute, in attesa disperata di cambiamenti". Con questo titolo il primo ad accorgersi della loro pericolosa condizione è stato il Time.
"L' industria dei videogiochi ha avuto un profitto di 43 miliardi di dollari l' anno scorso, i lavoratori responsabili di quel profitto meritano di unirsi in sindacato, sono felice di Game Workers": sono le parole con cui il senatore rosso del Vermont Bernie Sanders ha benedetto il gruppo l' anno scorso. Trasversali ed internazionali come il settore di mercato ad alta specializzazione in cui lavorano, i combattenti del joystick appoggiano proteste contro taglio alle pensioni in Francia, si incardinano negli scioperi dei dipendenti Google, in Gran Bretagna si pronunciano sui licenziamenti immotivati.
La sfida del cambiamento è stata colta anche dalle ragazze, ghetto minoritario in un ghetto già minuscolo. Dietro gli stessi schermi virtuali dove gli altri giocano in mondi costruiti su misura per il loro escapismo privato, senza alzarsi dalle scrivanie americane dove lavorano sedute giorno e notte, anche le pochissime ragazze dell' industria hanno preso fiato e coraggio per denunciare molestie sessuali subite in un settore dove gli uomini costituiscono la maggioranza tra creatori e compratori.
Nel sottobosco delle pagine dei blog sono in tanti ad aver letto la denuncia aperta della programmatrice Nathalie Lawhead contro il suo ben più famoso collega Jeremy Soule o le accuse di stupro della sviluppatrice ossigenata Zoe Quinn contro Alec Holowka, leggenda del mondo ludico, che ha deciso di togliersi la vita quando la ragazza ha parlato pubblicamente.